Wednesday, March 15, 2006

kNOW yOUR oWN lAKE!!



photo via www.torreflaviadiving.it

to find othe
r pics click here

giocando sul vostro lago (ammesso che giochiate anche su un lago), quante volte vi siete sentiti porre (o vi siete posti) quel genere di domande, tipo: quanto é profondo? quanto impiega a ricambiare tutta l'acqua? ci sono affluenti? etc..


di seguito non tutte le risposte, ma almeno 3 studi molto significativi sul regime delle acque dei principali (per estensione) laghi italiani! buona lettura a chi si cimenti!

all txt are courtesy of their own authors..

***
Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46, doi: 10.1474/GGA.2006-03.0-05.0098
Risultati del progetto di ricerca PRIN "laghi 2003-2005"
Walter Dragoni1, Vincenzo Piscopo2, Lucio Di Matteo1, Lucia Gnucci1, Antonio Leone3,
Francesca Lotti2, Massimo Melillo1, Marco Petitta4
1Università di Perugia, Dipartimento di Scienze della Terra, dragoni@unipg.it
2Università della Tuscia, Dipartimento di Ecologia e Sviluppo Economico Sostenibile
3Università della Tuscia, Dipartimento di Tecnologie, Ingegneria e Scienze dell’Ambiente e delle Foreste
4Università di Roma "La Sapienza", Dipartimento di Scienze della Terra
Results of the PRIN research project “lakes 2003-2005”


ABSTRACT: The results are presented of the PRIN 2003-2005 Research Project: “Impact of anthropic activities and of
climatic variations on the water budget of the most important lakes in central Italy: modeling of the active processes and
possible management strategies.” This project, starting with the analysis of the hydrogeological and environmental
problems in the main lake systems in central Italy, has given new geological and hydrogeological knowledge useful for
updating water budgets and modeling various processes. In addition, a mathematical model for simulating lake levels was
prepared which will be useful for estimating unknown terms of the budget and defining possible scenarios in various
climatic situations and different management hypotheses. The results obtained could contribute to the preparation of a land
plan that preserves the environment and optimizes the use of resources.
Key terms: Hydrogeology, Bolsena Lake, Vico Lake, Bracciano Lake, Trasimeno Lake, Climate change, Modeling
Termini chiave: Idrogeologia, Lago di Bolsena, Lago di Vico, Lago di Bracciano, Lago Trasimeno, Variazioni climatiche,
Modellistica.
Riassunto
Vengono presentati i risultati del Progetto di Ricerca PRIN
2003-2005 “Impatto dell'attività antropica e delle variazioni
climatiche sul bilancio idrogeologico dei più importanti
laghi dell'Italia Centrale: modellizzazione dei processi in
corso e possibili strategie di gestione”. Il progetto, a partire
dall’analisi dei problemi idrogeologici ed ambientali dei
principali sistemi lacustri dell’Italia centrale, ha ampliato le
conoscenze geologiche ed idrogeologiche necessarie per
l’aggiornamento dei bilanci idrogeologici e per la
modellizzazione di vari processi. È stata, inoltre, messa a
punto una versione aggiornata di un modello matematico di
simulazione dei livelli lacustri, utile per stimare grandezze
incognite del bilancio e per definire possibili scenari sotto
varie situazioni climatiche e diverse ipotesi di gestione. Si
ritiene che i risultati ottenuti possano contribuire alla messa
a punto di una pianificazione territoriale che conservi
l’ambiente e ottimizzi l’utilizzo delle risorse.
1. Introduzione
Questa nota sintetizza i risultati di una ricerca biennale sui
sistemi lacustri del versante tirrenico dell’Italia Centrale
(fig. 1). La ricerca è nata con l’obiettivo di definire i
problemi ambientali ed idrogeologici dei sistemi studiati e
di fornire informazioni e strumenti concettuali per una
gestione razionale dei sistemi stessi, possibilmente
esportabile anche per altri casi simili.
Molti dei laghi minori della zona considerata sono in
una condizione ambientale poco compromessa o
recuperabile con una certa facilità, soprattutto perché
turisticamente poco noti, con un piccolo bacino idrografico
ed ubicati in zone a bassa densità di popolazione (quali, solo
per esempio, i laghetti di Giulianello, Martignano,
Mezzano). I laghi più grandi (Nemi, Albano, Bracciano,
Vico, Bolsena e Trasimeno), oltre a costituire una risorsa
fondamentale per acqua potabile ed irrigazione, rivestono
una notevole importanza naturalistica, turistica e per
l’agricoltura: gli interessi presenti, spesso contrastanti,
rendono la gestione di questi sistemi molto complessa, sia
dal punto di vista tecnico-scientifico che politico. I problemi
gestionali sono aggravati dal fatto che attualmente il
Mediterraneo occidentale sta attraversando una fase
climatica caratterizzata da un trend climatico siccitoso,
riconducibile nell’ambito delle variazioni climatiche globali
(per esempio, Dragoni, 1998; Van Dam, 1999; Cambi et
alii, 2000; Brunetti et alii, 2000).
La ricerca, condotta congiuntamente dalle Università di
Perugia e della Tuscia, ha riguardato in modo particolare i
laghi Trasimeno, Bolsena, Vico e Bracciano. Essa si è
focalizzata essenzialmente sugli aspetti idrologici,
idrogeologici e di land planning in senso lato.
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 40
Fig. 1 – Ubicazione dei principali laghi dell’Italia.Centrale
Location of the main Lakes in Central Italy
2. Approccio usato
Lo studio, svolto da punti di vista diversi ma fra loro
integrati, è stato portato avanti tramite ricerca bibliografica,
raccolta e validazioni di dati idrometeorologici, indagini sul
campo ed in laboratorio. Oltre agli approcci tradizionali,
dove i dati lo hanno permesso, per la simulazione dei
processi di trasformazione afflusso-deflusso, trasporto di
nutrienti e flusso sotterraneo, è stata eseguita la
modellizzazione matematica dei processi stessi, applicando
modelli di vario tipo. Nel seguito vengono descritti
brevemente i modelli impiegati, dando più spazio al
modello LAGO, che è stato implementato nell’ambito della
ricerca stessa.
Il modello LAGO nella sua attuale struttura è una
variante di una serie di modelli già utilizzati per simulare la
trasformazione afflusso-deflusso di alcuni bacini dell’Italia
centrale (Cambi et alii, 2003). L’insieme dei processi che
costituiscono la trasformazione afflusso-deflusso è
rappresentato concettualmente con flussi attraverso diversi
serbatoi, così da definire i volumi d’acqua in ingresso ed in
uscita, rispettando la conservazione della massa. Con
riferimento alla figura 2, i primi due serbatoi in parallelo
rappresentano il bacino imbrifero del lago, distinguendo le
“aree naturali” (tank 1) da quelle ad uso irriguo (tank 2).
Nei serbatoi si realizzano due bilanci idrologici separati: le
aree irrigue ricevono come quantità in ingresso sia le
precipitazioni che l’acqua distribuita sotto forma di
irrigazione (Pbi), mese per mese; quelle non irrigue
ricevono le sole precipitazioni (Pbni). Entrambi i serbatoi
rappresentano suolo e vegetazione generando, in maniera
indipendente, l’evapotraspirazione (ETRni e ETRi) attraverso
criteri simili, ma più evoluti, a quelli di Thornthwaite-
Mather (Alley, 1984). In entrambi i serbatoi la pioggia
produce, in funzione di volume di precipitazione e umidità
del suolo, un deflusso veloce (QUICKni e QUICKi)
(assimilabile in linea di massima al deflusso superficiale)
tramite un’equazione, a coefficienti calibrati, proposta da
Vandewiele et alii (1992). L’acqua residua, assimilabile al
deflusso sotterraneo (INFni e INFi), alimenta il lago tramite
il terzo serbatoio (tank 3), posizionato in serie a valle dei
primi due. Il flusso dal terzo serbatoio al lago è descritto, in
maniera implicita, dall’equazione di Darcy attraverso un
coefficiente adimensionale _. Al lago vero e proprio è poi
applicata l’equazione del bilancio mese per mese,
considerando i volumi provenienti dai serbatoi e quelli che
direttamente entrano ed escono dallo specchio del lago:
pioggia sullo specchio (Ps), acqua immessa artificialmente
(Vi), evaporazione dallo specchio (Ev), acqua in uscita
dall’emissario (Ve) e prelievi artificiali (Pa). Il modello può,
quindi, calcolare la variazione di volume del lago e da
questo i livelli mensili (H) attraverso la curva ipsografica.
Fig. 2 – Schema concettuale del modello LAGO; per il significato
dei simboli vedere il testo
Conceptual scheme of model LAGO; the meaning of the symbols in
the text
La calibrazione del modello viene effettuata, seguendo il
criterio dei minimi quadrati, sulla base dell’errore standard
generato dalla differenza fra livelli reali e simulati: la
gestione della funzione errore viene affidata ad una routine
implementata sulla base della teoria dell’annealing (Aarts &
Korst, 1990). Allo stato attuale LAGO accetta fino ad un
massimo di 16 coefficienti da calibrare; è importante
sottolineare come i risultati del modello sono
sostanzialmente simili calibrando 9 o più coefficienti. Nel
caso si disponesse delle grandezze meteorologiche per
stimare con buona approssimazione l’evapotraspirazione
potenziale e l’evaporazione dallo specchio, il numero dei
coefficienti da calibrare scenderebbe, nell’attuale versione
di LAGO, a 5.
LAGO è stato applicato con buoni risultati ai laghi
Trasimeno e Bolsena, ottenendo errori medi di qualche
centimetro sulla simulazione dei livelli, trascurabili se
confrontati con la profondità dei laghi e, soprattutto, con la
precisione delle misure (Dragoni et alii; 2005, Manciola et
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 41
alii, 2005); ulteriori applicazioni sono in corso per il lago di
Bracciano.
Il modello idrologico CEQUEAU, sviluppato da INRS –
Eau Quebec (Istitute Nationelle de la Recherche
Scientifique-Eau), è un modello parametrico matriciale a
bilancio di massa, che tiene conto delle caratteristiche
fisiografiche del bacino, delle loro variazioni spaziali e
temporali e dell’esistenza di opere idrauliche (Morin et alii,
1998). Il bacino idrografico analizzato viene suddiviso in
elementi; la lama di acqua prodotta su ciascuno di essi è
trasferita dall’uno all’altro per ottenere la portata alla
sezione di chiusura del bacino stesso.
CEQUEAU è stato applicato con successo al lago di
Bolsena (Manciola et alii, 2005), ottenendo risultati simili a
quelli forniti da LAGO.
Il modello GLEAMS (Groundwater Loading Effects of
Agricultural Management Systems) è stato sviluppato per
simulare il carico di sedimenti, pesticidi e nutrienti forniti
alle acque dalle attività agricole (Knisel, 1993). In un’ottica
di land planning, GLEAMS è stato applicato al lago di
Vico, verificando che le simulazioni fornite dal modello
fossero coerenti con i dati sperimentali. La verifica, oltre a
fornire valide informazioni, ha confermato la sostanziale
affidabilità della procedura e la possibilità di impiego
generalizzato.
Il modello MODFLOW è in fase di applicazione
all’intera struttura cimino-vicana per definire, all’equilibrio,
i volumi e le modalità di flusso idrico sotterraneo della
struttura stessa. I primi risultati confermano quelli ottenuti
con mezzi tradizionali, evidenziando però l’anisotropia
della conducibilità idraulica coerentemente con la direzione
preferenziale delle faglie e delle fratture che interessano
l’acquifero. Il MODFLOW, inoltre, è stato impiegato per
studiare il problema dei rapporti fra pozzi e corpi idrici
superficiali, fornendo alcuni interessanti risultati
preliminari, adatti a fiumi o a laghi di piccole dimensioni, a
partire dai quali si sta lavorando per estenderne
l’applicabilità anche a laghi veri e propri (Di Matteo &
Dragoni, 2005).
3. Risultati specifici ottenuti
I risultati specifici ottenuti riguardano i quattro sistemi
lacustri oggetto dell’indagine.
3.1 Lago Trasimeno
Il Trasimeno è privo di emissari naturali, negli ultimi
decenni ha avuto una superficie media di circa 121 km2 e
profondità massima inferiore a sei metri. Il lago, oltre che
dalle piogge sullo specchio e dalle acque di ruscellamento, è
alimentato dalla falda idrica che lo circonda; le indagini
eseguite confermano che si può assumere che in media il
bacino imbrifero corrisponda al bacino idrogeologico. I
livelli del Trasimeno, a causa del bacino imbrifero piuttosto
piccolo rispetto la superficie del lago sono molto variabili.
Qui basterà richiamare che alla fine del 1800 vi era un grave
problema di livelli alti, che fu risolto nel 1898, quando fu
costruito l'emissario che, ancor oggi, impedisce che il
Trasimeno arrivi a quote tali da provocare problemi
all'agricoltura ed agli insediamenti rivieraschi. L’emissario,
che ha una portata massima teorica di 12 m3/s, è abbastanza
efficiente nello smaltire le piene, anche se qualche problema
si può verificare nel caso di sequenze di anni molto umidi
ed eventi piovosi eccezionali (Dragoni, 2004). Il periodo
1950-1958 segnò una gravissima crisi idrica del lago, tanto
che all'epoca si temette "l'essiccamento del lago": il minimo
livello fu raggiunto nell'ottobre del 1958, con 254.69 m
s.l.m., corrispondente ad una profondità massima di poco
più di tre metri. Per contrastare il fenomeno, alla fine degli
anni 1950, furono condotti al lago 74.40 km2 appartenenti
ad altri bacini idrografici: dopo di ciò, nel giro di pochi anni
il lago raggiunse quello che oggi è considerato lo "zero
idrometrico", ossia la quota di 257.33 m s.l.m. (maggio
1964). Dal giugno 1989 è iniziato un nuovo periodo di
livelli bassi, sincronizzato, come sempre, con un periodo
leggermente più caldo della media e, soprattutto, con una
bassa piovosità. Dal 1989 ad oggi, l’emissario non è mai
entrato in funzione. I livelli minimi sono stati raggiunti nelle
estati del 2003 e del 2004, con gravi effetti sull’economia e
sull’assetto ambientale dell’intero sistema.
Il modello LAGO è stato dapprima calibrato sul periodo
1985–2004, ottenendo, a causa delle numerose incertezze
sui dati in ingresso, un insieme di calibrazioni con risultati,
dal punto di vista dell’errore, fra loro simili, ma con
coefficienti diversi a seconda delle assunzioni di partenza su
prelievi ed evaporazione (fig. 3). Successivamente sono
state realizzate una serie di simulazioni al fine di verificare
gli effetti sul lago Trasimeno di condizioni climatiche e
gestionali differenti dalle attuali. I risultati ottenuti
applicando LAGO, pur partendo da ipotesi diverse e con
diverse configurazioni del modello, convergono verso una
unica soluzione dei problemi di crisi idrica del lago: sotto le
attuali condizioni climatiche, il livello attorno alla quota di
sfioro dell’emissario può essere mantenuto solo agendo sui
prelievi artificiali e/o su apporti idrici esterni al bacino, in
modo tale che la somma di tali azioni corrisponda ad un
volume medio complessivo di almeno 1.5°—107 m3/anno (fig.
4). Ciò, peraltro, porterebbe ad un miglioramento della
qualità delle acque, dato che l’entrata in funzione
dell’emissario, produrrebbe un immediato e significativo
ricambio delle acque stesse.
Da un punto di vista teorico, modellizzazioni più
accurate e formalmente più robuste potrebbero essere
ottenute, con LAGO o altri modelli, se si disponesse di
misure di evaporazione affidabili.
La figura 4 riporta, a titolo d’esempio, il grafico
riassuntivo dei livelli del lago negli ultimi decenni per
diversi apporti artificiali da zone esterne al bacino.
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 42
Fig. 3 – Calibrazione dei livelli del Lago Trasimeno (con Modello LAGO)
Calibration curve of Trasimeno Lake (model LAGO)
Fig. 4 – Simulazioni dei livelli mensili del Lago Trasimeno con immissione di vari volumi d'acqua., distribuiti uniformemente nel corso
dell’anno (1989-2005)
Simulation of the monthly levels of Trasimeno Lake with different volumes of supplied artificially, uniformly distibuted during the year
(1989-2005)
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 43
3.2 Lago di Bolsena
Il lago di Bolsena è il più grande lago di origine vulcanica
d’Europa, con superficie media di circa 113 km2 e
profondità di 151 m. Il suo bacino imbrifero (273 km2) è
costituito principalmente da formazioni vulcaniche, messe
in posto da più eruzioni, essenzialmente esplosive,
verificatesi a partire da 0.6 M.a. fino a 0.15 M.a. Le
vulcaniti costituiscono un acquifero freatico alimentante il
lago, limitato inferiormente dalle formazioni sedimentarie
plio-pleistoceniche del ciclo neoautoctono e da flysch
cretacico-ologenico.
Nell’ambito della ricerca è stata posta l’attenzione sulle
caratteristiche idrogeologiche del complesso vulsino,
proponendo una nuova carta delle isopiezometriche (relativa
al periodo maggio-giugno 2005) e fornendo alcune stime
dei principali parametri idrogeologici: le indagini eseguite
hanno confermato che il bacino idrogeologico è
notevolmente più esteso di quello superficiale. L’utilizzo
del modello LAGO (fig. 5) ha fornito nuove stime per varie
grandezze, fra cui evaporazione dallo specchio (935
mm/anno) ed evapotraspirazione dal bacino imbrifero (620
mm/anno). L’alto coefficiente di deflusso determinato, pari
a 0.5, si spiega con l’importanza che ha, per il lago, il
deflusso sotterraneo. Vale la pena di sottolineare che
LAGO, a dispetto della scarsa precisione dei dati in
ingresso, fornisce per Bolsena una evaporazione
notevolmente inferiore di quella del Trasimeno (935
mm/anno, contro circa 1050 mm/anno) come ci si deve
aspettare in considerazione della profondità ben maggiore
del lago di Bolsena. Da un punto di vista operativo e
decisionale appare che entrambi i modelli LAGO e
CEQUEAU possono essere usati per mettere a punto scenari
sotto diverse ipotesi climatiche e di gestione.
Fig. 5 – Calibrazione dei livelli del Lago di Bolsena (con Modello
LAGO)
Calibration curve of Bolsena Lake (model LAGO)
3.3 Il sistema del lago di Vico
I complessi vulcanici cimino e vicano costituiscono un sistema
avente una propria individualità idrogeologica, riconducibile a
motivi stratigrafici, vulcano-tettonici e morfologici. Il sistema
indagato ha una estensione di circa 900 km2 ed è costituito da
rocce vulcaniche e vulcanoclastiche, permeabili per porosità e
fessurazione, che danno luogo ad un esteso acquifero di base,
spesso da alcuni metri ad alcune decine di metri, e più falde
sospese di limitata continuità e spessore.
La falda di base ha un deflusso radiale centrifugo con
recapiti principali verso i torrenti, soprattutto a sud-est, ad ovest
e a nord, e travasi verso gli acquiferi adiacenti, soprattutto nel
settore orientale verso i depositi alluvionali del fiume Tevere.
Tale schema nelle linee generali è in accordo con Capelli et alii
(2005), ma se ne differenzia per il ruolo idrogeologico del
margine nord-orientale dell’acquifero vulcanico, avendo
rilevato nel corso del presente studio una ridotta possibilità di
flussi idrici sotterranei verso la valle del Tevere. Inoltre, solo in
parziale accordo con Capelli et alii (2005), le acque sotterranee
del versante orientale del sistema idrogeologico sembrano
avere recapito principalmente nel basso corso del torrente
Biedano, nel torrente Rigomero ed in parte nel torrente Leia, il
cui deflusso di base è alimentato anche dal flusso idrico
sotterraneo che riguarda le propaggini sud-orientali del
complesso vulcanico vulsino.
Le indagini eseguite indicano trasmissività comprese fra da
10-6 e 10-2 m2/s, testimonianza della notevole eterogeneità del
mezzo, legata al complicato assetto giaciturale dei diversi
prodotti. Le elaborazioni eseguite mostrano i valori più elevati
di trasmissività nel settore sud-orientale dell’acquifero, laddove
sono stati individuati consistenti travasi idrici sotterranei verso
la valle del Tevere.
Le indagini effettuate hanno permesso anche una prima
stima del flusso idrico sotterraneo medio, per gli ultimi
decenni, del sistema idrogeologico. È risultata una portata
compresa tra 5 e 7 m3/s, equivalente ad un rendimento
medio in acque sotterranee dell’acquifero compreso tra 6 e
8 l/s per km2. Questa stima da considerare significativa in
termini di ordine di grandezza, soffre, così come le altre
valutazioni relative allo stesso ambiente idrogeologico,
delle carenze di dati di base continui nel tempo.
Il lago di Vico (circa 12 km2 di estensione e profondità
massima di circa 50 m) nell’ambito del sistema
idrogeologico indagato rappresenta l’affioramento alto della
falda di base dell’acquifero vulcanico. Ad esso non è stato
possibile applicare alcuna modellizzazione per la mancanza
di sequenze di dati continue sulle portate dell’emissario. La
piezometria mostra che il lago è alimentato a nord dalla
porzione di acquifero corrispondente all’alto morfologico
dei Monti Cimini (tale apporto appare essere attorno a
2°—106 m3/anno); ad ovest, a sud e, specialmente, ad est del
lago di Vico, la falda è alimentata dal lago (dalle valutazioni
effettuate tale flusso dovrebbe essere almeno di 7°—106
m3/anno). Questi ultimi flussi, per la modesta superficie del
lago, hanno una non trascurabile influenza sul bilancio
medio annuo dello stesso (corrispondono ad almeno il 26%
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 44
delle perdite totali dal lago). Il livello del lago, sempre a
causa della piccola superficie, risente in maniera
assolutamente rilevante delle modalità di regolazione
dell’efflusso dall’emissario, non sempre riconducibile a
quella di un razionale uso congiunto delle risorse idriche
superficiali e sotterranee come richiederebbero i problemi
ambientali del lago stesso.
L’indagine condotta non ha evidenziato alterazioni degli
equilibri idrogeologici alla scala dell’intero sistema, anche
se è necessaria una razionalizzazione degli attuali schemi
dei prelievi idrici. Tale razionalizzazione non può che
scaturire da un approfondito monitoraggio delle variabili
idrogeologiche segnalate in precedenza.
3.4 Lago di Bracciano
Il lago di Bracciano ha un’estensione di oltre 57 km2 ed una
profondità massima di 160 m. Il bacino idrografico, esteso
per circa 91 km2 ed impostato sulle vulcaniti sabatine, è
solcato da corsi d’acqua non perenni, alimentati
esclusivamente dalle acque di ruscellamento connesse agli
eventi meteorici. L’emissario naturale del lago, il fiume
Arrone, presentava in passato una portata media superiore al
metro cubo al secondo, ma a seguito della derivazione
realizzata negli anni ‘60 dall’ACEA (Acquedotto Paolo), il
deflusso si è gradualmente ridotto fino ad annullarsi
nell’ultimo decennio. Come nel caso del lago di Bolsena, il
bacino idrogeologico medio, delimitato sostanzialmente da
un contorno idrodinamico dipendente dalla ricarica e dai
prelievi tramite pozzi, è più esteso del bacino superficiale,
con un valore medio che sembra essere attorno ai 110 km2,
incluso l’intero bacino idrografico. Il sembra è d’obbligo
data la scarsa presenza di pozzi e piezometri e la difficoltà
di ricostruire una piezometria attendibile, soprattutto nelle
zone orientali. Comunque appare che la piezometria
ricostruita per il 2005 non abbia subito, rispetto i
rilevamenti precedenti, abbassamenti rilevanti
(Camponeschi & Lombardi, 1969; Boni et alii, 1986;
Ventriglia, 1989; Acquaital, 1997; Capelli et alii, 2005). Il
bacino sotterraneo d’alimentazione è costituito dalle
sequenze vulcaniche, permeabili per porosità e per
fessurazione; l’acquifero presenta livelli a bassa
permeabilità che localmente possono determinare
l’esistenza di falde sospese di limitata estensione e
potenzialità. L’idrodinamica è notevolmente influenzata
dalla morfologia e dagli affioramenti del substrato prevulcanico,
a permeabilità molto bassa e con morfologia
molto articolata.
L’analisi del bilancio per il bacino idrogeologico e per lo
specchio lacustre è stata condotta per il periodo 1975-2004.
Il livello idrometrico del lago, diretta espressione della
disponibilità idrica in assenza di un emissario attivo,
presenta su base annuale oscillazioni contenute (un metro al
massimo, corrispondente a circa 40°—106 m3 di variazione di
volume, attorno all’1% del volume lacustre). A scala
pluriennale si osserva un debole trend negativo, dove
spiccano due periodi di crisi idrica, registrati alla fine degli
anni ’80 e nel 2003. Tale tendenza è da imputarsi, più che al
debole trend negativo della piovosità, ai prelievi artificiali
dalla falda ad uso potabile, irriguo e civile nella zona di
ricarica (attualmente stimati in 10°—106 m3/anno, di cui un
terzo ad uso potabile) e dai prelievi diretti dal lago da parte
dell’ACEA, che si attestano in media sui 25°—106 m3/anno. Il
nuovo collettore circumlacuale di raccolta di acque reflue
costituisce un’ulteriore limitazione di afflusso diretto al
lago, con portate medie smaltite al depuratore di circa 4°—106
m3/anno, che in precedenza venivano direttamente immessi
nel lago ed oggi vengono riversati nel fiume Arrone, a valle
dello specchio lacustre.
Il calcolo del bilancio del bacino idrogeologico del lago
di Bracciano evidenzia una ricarica della falda di circa
25°—106 m3/anno, di cui circa 15°—106 m3/anno defluiscono
nel lago. Tutte le stime qui riportate vanno considerate di
larga massima, dato che mancano serie di dati lunghe ed
affidabili su cui eseguire una modellizzazione matematica
con risultati più precisi.
In definitiva si può affermare che a parte il
prosciugamento dell’emissario, il lago di Bracciano non
presenta attualmente squilibri consistenti determinati dai
prelievi antropici, tali da rendere necessaria l’adozione di
provvedimenti restrittivi dell’uso della risorsa idrica
sotterranea, di cui è invece stato recentemente oggetto il
bacino del lago sulla base della nuova normativa regionale.
Visto che le oscillazioni idrometriche sono influenzate,
oltre che da fattori naturali, dal prelievo ACEA,
quest’ultimo rappresenta il termine dell’equazione di
bilancio su cui poter intervenire in modo diretto. Di
conseguenza, nel quadro di utilizzazione attuale, è possibile
garantire, in condizioni climatiche medie, un bilancio
idrologico del lago in pareggio, operando una modulazione
dei prelievi a scopo potabile. Tale regolazione dei prelievi,
già autonomamente adottata dall’ACEA in risposta a
periodi particolarmente siccitosi, se concordata con gli enti
territoriali, consentirebbe di garantire condizioni
idrometriche ottimali sia a fini di conservazione ambientale
che turistici.
4. Risultati di carattere generale
I risultati di carattere generale sui sistemi lacustri investigati
riguardano essenzialmente le problematiche connesse con la
vulnerabilità all’inquinamento dei corpi idrici superficiali e
degli acquiferi ad essi correlati.
In tal senso risulta che i laghi di origine vulcanica
dell’alto Lazio sono particolarmente sensibili
all’eutrofizzazione, per il debole ricambio delle acque e,
quindi, per i lunghi tempi di rinnovo. Nell’ambito della
ricerca qui riassunta sono stati considerati, dal punto di vista
dell’eutrofizzazione il lago di Vico e quello di Bracciano,
per i quali è il fosforo il principale fattore limitante dei
fenomeni eutrofici (Barbanti et alii, 1971) e la cui origine è
duplice: fonti puntiformi e fonti diffuse. Le prime sono
riconducibili a collettori che scaricano direttamente nel
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 45
corpo idrico o in suoi affluenti; le seconde sono invece
prodotte spazialmente, soprattutto con le attività agricole
che utilizzano fosforo ed azoto come fertilizzanti. L’unico
mezzo realmente efficace per il controllo delle fonti diffuse
è la gestione razionale del territorio (Dillon & Kirchner,
1975). Per entrambi i laghi esaminati è stato ricostruito
l’uso e la copertura del suolo, evidenziando i fattori di
maggiore rischio dal punto di vista della qualità delle acque.
Il tutto è stato rapportato ai monitoraggi istituzionalmente
effettuati dall’ARPA Lazio, che hanno evidenziato le
problematiche maggiori per il lago di Vico, il cui
arricchimento in fosforo risulta del tutto anomalo. La causa
di questo fenomeno è da attribuirsi al trasporto di fosforo
particolato da parte del suolo eroso nei territori agricoli
(Garnier et alii, 2004).
La modellizzazione tramite GLEAMS ha fornito i
seguenti prodotti: la carta del rischio di erosione del suolo e
di asportazione di fosforo; la valutazione dell’efficienza
ambientale di scenari di mitigazione degli impatti (pratiche
agricole conservative del suolo); l’individuazione delle
aree-problema su cui focalizzare ulteriori sforzi economici,
di supporto alla sostenibilità dell’agricoltura.
La tematica della vulnerabilità all’inquinamento delle
acque sotterranee delle aree perilacuali è stata inizialmente
affrontata mediante i metodi parametrici in uso in Italia. Il
metodo SINTACS è stato applicato in via preliminare al
settore settentrionale della struttura cimino-vicana; i risultati
ottenuti comunque non sono stati pienamente soddisfacenti
in relazione soprattutto al fatto che detti metodi sono di
ausilio solo per caratterizzazioni a larga scala e di primo
approccio al problema. Tuttavia l’esperimento ha
evidenziato, tra l’altro, la notevole influenza dei parametri
suolo e non saturo sulla determinazione generale dell’indice
di vulnerabilità complessiva. Pertanto l’attenzione è stata
successivamente rivolta alla caratterizzazione della
acquifero non saturo, primo filtro della eventuale
contaminazione proveniente dalla superficie.
In tal senso lo studio è stato condotto mediante indagini
in sito ed esperimenti in laboratorio. Le indagini in sito sono
state condotte attrezzando due stazioni di misura, nel bacino
del lago di Vico, dell’andamento della tensione e del
contenuto idrico del suolo nel corso dell’anno; i due siti
sono stati scelti in modo da essere significativi della diversa
profondità della falda e del diverso uso del suolo. In
laboratorio sono state condotte prove di tracciamento
mediante tracciante non reattivo. A questo scopo sono stati
appositamente progettati e costruiti due permeametrocolonne,
per riprodurre correttamente i profili pedologici di
interesse e nello stesso tempo per tener conto della
dipendenza della dispersività dalla scala di esperimento.
Gli esperimenti, condotti su profili tipo dei suoli vicani,
hanno permesso la determinazione dei parametri
idrogeologici e idrodispersivi, quali la porosità efficace, la
conducibilità idraulica, il numero di Peclet, la dispersività e
la velocità effettiva. I primi risultati indicano conducibilità
idrauliche comprese tra 10-5 e 10-7 m/s e dispersività
dell’ordine di alcuni centimetri. Attraverso questi dati è
stato possibile schematizzare, mediante le relazioni per un
flusso monodimensionale, la tendenza della concentrazione
di un contaminate non reattivo nel tempo in un mezzo
saturo (i primi metri di sottosuolo), risultando una notevole
dispersione del mezzo.
5. Conclusioni
I sistemi di Bolsena, Vico e Bracciano non appaiono, dal
punto di vista idrogeologico quantitativo, troppo
pesantemente compromessi, ma chiaramente la
diminuizione (o l’annullamento) delle portate dei relativi
emissari non può essere trascurata e andrebbe ridiscussa. Il
lago Trasimeno e i laghi Albani sono in una situazione
particolarmente critica; come già rilevato da altri autori
(Capelli et alii, 2005), tutto indica che per i laghi Albano e
di Nemi la causa dell’eccezionale abbassamento dei livelli
vada ricercata soprattutto nel sovrasfruttamento della falda.
I laghi dell’Italia Centrale costituiscono un patrimonio
culturale unico: la ricerca ha in qualche modo contribuito
alla valorizzazione di tali aspetti, soprattutto per i laghi
Albani ed il Trasimeno (Castellani & Dragoni, 2004;
Burzigotti et alii, 2003), ma sono state avviate indagini
anche sull’antico sistema di regolazione del lago di Vico e
si è raccolto del materiale per la storia dei laghi minori e dei
numerosi “laghi scomparsi”, cioè bonificati nel corso degli
ultimi tre millenni.
Per ciò che riguarda il clima, le indagini eseguite hanno
confermato, su tutta l’area riportata in figura 1, un trend
negativo della piovosità e di un lieve aumento della
temperatura: va detto, però che tali tendenze non sono
uniformi e non sono segnalate da tutte le stazioni. In ogni
caso vi sono forti segnali che in futuro vi sarà una
diminuzione delle risorse idriche complessive,
accompagnata ad un incremento degli eventi estremi, sia in
termini di siccità che di intensità delle piogge. Tali scenari,
peraltro condivisi dalla comunità scientifica internazionale
(indipendentemente dalle opinioni sulle cause delle
variazioni climatiche in atto), andrebbero presi in seria
considerazione per cercare di limitare gli impatti negativi
prevedibili, anche considerando i laghi artificiali presenti
nell’area (sono state eseguite indagini, in corso di
pubblicazione o completamento, sui laghi delle dighe di
Fiorenzuola, Umbria, e di Montedoglio,Toscana).
La ricerca ha messo purtroppo in evidenza che, a
dispetto dell’importanza dei sistemi lacustri della zona e
degli interessi economici, ambientali e culturali che su di
essi gravitano, la rete di rilevamento dei dati è
assolutamente carente: mancano misure continue di portata,
piovosità, temperatura, evaporazione e dei livelli
piezometrici, le stazioni in quota sono estremamente rare ed
i prelievi sono noti con una precisione assolutamente
grossolana, con errori, contraddizioni ed omissioni palesi. È
chiaro che in queste condizioni modelli di simulazione e
bilanci, non importa quanto teoricamente validi, possono
Dragoni W., Piscopo V., Di Matteo L., Gnucci L., LeoneA. et al. / Giornale di Geologia Applicata 3 (2006) 39-46 46
fornire al più delle stime approssimative, mentre invece i
tempi richiedono interventi e piani precisi e coerenti con le
attuali conoscenze. I risultati scaturiti dalla ricerca ora
descritta possono contribuire notevolmente alla gestione del
territorio, ma questa sarà comunque carente se non
accompagnata da una seria rete di rilevamento dati.
Infine, non è forse inutile rilevare che i progetti PRIN, la
cui esistenza è essenziale per la ricerca scientifica e nel cui
ambito sono state svolte le indagini e raggiunti i risultati qui
riassunti, dovrebbero durare non due anni, ma almeno tre o
quattro: le ricerche di ampio respiro sul territorio hanno
bisogno di tempi lunghi e non possono essere gestite come
alcuni progetti di ricerca “industriali”, che a volte
assemblano spesso componenti e tecniche note, e per i quali
può essere prescritta (e prevista a priori) una certa
tempistica. Nel caso specifico sono in corso di preparazione
varie pubblicazioni che potranno essere stampate nell’arco
di un paio d’anni. In ogni caso si è provveduto a divulgare i
risultati agli enti interessati con vari incontri e la
pubblicazione di un sito web.
Ringraziamenti
Lavoro eseguito nell’ambito del progetto “Impatto
dell’attività antropica e delle variazioni climatiche sul
bilancio idrogeologico dei più importanti laghi dell’Italia
centrale: modellizzazione dei processi in corso e possibili
strategie di gestione” finanziato MIUR, Università di
Perugia e Università della Tuscia, coordinato da W.
Dragoni. L’articolo è stato condotto congiuntamente dalle
Unità di Ricerca dell’Università di Perugia (resp. W.
Dragoni) e dell’Unità della Tuscia (resp. V. Piscopo).
Bibliografia
Aarts, E., Korst, J., 1990. Simulated annealing
and Boltzmann Machines. John Wiles & Sons.
Alley, W. M., 1984. On the treatment of
evapotranspiration, soil moisture accounting, and
aquifer recharge in monthly water balance
models. Wat. Resour. Res. 20 (8), 1137-1149.
Aquaital s.r.l., 1997. Studi preliminari per il
Piano di Bacino. ST8 Modello di gestione del
Lago di Bracciano, Regione Lazio, Ass.to Opere
e Reti di Servizi e Mobilità. Relazione inedita.
Barbanti, L., Bonomi, G., Carollo, A., Chiaudani,
G., Ferrari, I., Gerletti, M., Nocentini, A. M.,
Ruggiu, D., Tonolli L., 1971. Limnologia ed
ecologia dei laghi di Bolsena, Bracciano,
Trasimeno e Vico: situazione attuale e
prevedibili conseguenze derivanti da una loro
utilizzazione multipla. Memorie dell'Istituto
Italiano di Idrobiologia, Pallanza (NO).
Boni, C., Bono, P., Capelli, G., 1986. Schema
Idrogeologico dell’Italia Centrale. Mem. Soc.
Geol. It. 35, 991-1012.
Brunetti, M., Buffoni, L., Mangianti, F.,
Maugeri, M., Nanni, T., 2000. Variazioni
climatiche in Italia negli ultimi 130 anni.
Bollettino Geofisico XXIII (3-4).
Burzigotti, R., Dragoni, W., Evangelisti, C.,
Gervasi, L., 2003. The Role of Lake Trasimeno
(Central Italy) in the History of Hydrology and
Water Management. Third IWHA Conference,
Bibliotheca Alexandrina, 11-14 December 2003,
Alexandria, Egypt.
Cambi, C., Dragoni, W., Valigi, D., 2000.
Hydrological cycle and climate changes: a
review with emphasis on the West-
Mediterranean Area. In “Water resources
management in a vulnerable environment for
sustainable development” edited by K. Andah
UNESCO, GNDCI – CNR, Perugia, 87-95.
Cambi, C., Dragoni, W., Valigi, D., 2003. Water
management in low permeability catchments and
in times of climatic change: the case of the
Nestore River (western central Italy). Physics
and Chemistry of the Earth 28 (4-5).
Camponeschi, B., Lombardi, L., 1969.
Idrogeologia dell’area vulcanica Sabatina. Mem.
Soc. Geol. Ital. 8, 25-55.
Capelli, G., Mazza, R., Gazzetti, C. 2005.
Strumenti e strategie per la tutela e l'uso
compatibile della risorsa idrica nel Lazio. Gli
acquiferi vulcanici. Quaderni di tecniche di
protezione ambientale, 78, Pitagora Bologna, 216
pp.
Castellani, V., Dragoni, W., 2004. Gli Emissari
dei Laghi Albani. Aggiornamenti e prospettive.
In "Lazio & Sabina" a cura di Giuseppina Ghini,
Lavori e Studi della Soprintendenza per i Beni
Archeologici del Lazio, De Luca Editori d'Arte,
215-220.
Dillon, P. J., Kirchner, W. B., 1975. The effects
of geology and land use on the export of
phosphorus from watersheds, Water Resources 9,
135-148.
Di Matteo, L., Dragoni, W., 2005. Empirical
relationships for estimating stream depletion by a
well pumping near a gaining stream. Ground
Water 2 (43), 242–249.
Dragoni, W., 1998. Some considerations on
climatic changes, water resources and water
needs in the Italian region south of the 43°N. In
"Water, Environment and Society in Times of
Climatic Change". Issar A., Brown N. editors.
Kluwer.
Dragoni, W., 2004. Il Lago Trasimeno e le
Variazioni Climatiche. Progetto informativo
dell'assessorato all'Ambiente della Provincia di
Perugia, Servizio Gestione e Difesa Idraulica, 60
pp.
Dragoni, W., Gnucci, L., Melillo, M., 2005.
LAGO, a mathematical model for simulating
lake levels. Presentato a Geoitalia 2005, Spoleto
21 – 23 settembre 2005.
Garnier, M., Leone, A., Lo Porto, A., Ripa, M.
N., 2004. Agricultural Land Use And Best
Management Practices To Control Nonpoint
Water Pollution: the Lake Vico Case.
(Sottoposto a Jour. Environmental Management).
Knisel, W. G., 1993. GLEAMS - Groudwater
Leaching Effects of Agricultural Management
Systems. Version 3.10. University of Georgia.
Coastal Plain Experimental Station, Tifton,
Georgia, 260 pp.
Manciola, P., Gnucci, L., Di Francesco, S., 2005.
Modellistica concettuale applicata al bilancio
idrogeologico del lago di Bolsena. Atti del
Convegno "Lagune, Laghi e Invasi Artificiali
Italiani", Accademia Nazionale dei Lincei,
Roma, 22 marzo 2005 (in stampa).
Morin, G., Paquet, P., Sochansky, W., 1998. Le
modèle de simulation de quantité et de qualité
CEQUEAU : Manuel de references.
Organisations des Nations Unies et INRS-Eau.
Van Dam, J. C., 1999. Impacts of climate change
and climate variability on hydrological regimes.
International Hydrology Series, Cambridge
University Press, 156 pp.
Vandewiele, G. L., Xu, C. Y., Win, N. L., 1992.
Methodology and comparative study of monthly
water balance models in Belgium, China and
Burma. Journ. Hydrol. 134, 315–347.
Ventriglia, U., 1989. Idrogeologia della
Provincia di Roma: Regione Vulcanica Sabatina.
Amministrazione Provinciale di Roma,
Assessorato ai L.L.P.P. Viabilità e Trasporti, 480
pp.


***

Documenta

DELL'ISTITUTO ITALIANO
DI IDROBIOLOGIA
DOTT. MARCO DE MARCHI

N. 4

CONOSCERE UN LAGO

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE
ISTITUTO ITALIANO DI IDROBIOLOGIA – VERBANIA PALLANZA
1984

CNR Istituto per lo Studio degli Ecosistemi
Sez. Idrobiologia ed Ecologia delle Acque Interne
(Verbania Pallanza)

CONOSCERE UN LAGO

Gianluigi GIUSSANI e Riccardo DE BERNARDI
Nuova edizione, a cura di Gianluigi GIUSSANI, del volume pubblicato dagli
stessi autori nella collana Documenta dell'Istituto Italiano di Idrobiologia, 4,
1984.
Versione elettronica realizzata da Roberto BERTONI
2003
2
1. INTRODUZIONE
Nonostante lo studio specifico dei laghi e degli organismi acquatici risalga
alla seconda metà del XVII secolo e sia attribuibile a B. Varenio ed a A.
Kircher e, successivamente, a L.F. Marsili, L. Spallanzani e A. Volta, è
solamente ad opera dello svizzero F.A. Forel che la LIMNOLOGIA (dal greco:
studio dei laghi) assume la dignità di scienza nel significato moderno del
termine. La monumentale opera del Forel (Le Léman, Monographie
Limnologique), pubblicata in tre volumi tra il 1892 e il 1904, può essere
considerata il primo testo ufficiale di questa scienza. A queste prime opere
monografiche ne seguirono altre: di grande interesse fu lo studio dei limnologi
ungheresi sul Lago Balaton, considerato uno dei laghi meglio conosciuti nel
mondo.
Anche in Italia questa nuova scienza stimolò una serie di importanti studi,
soprattutto ad opera di G.P. Magrini, di P. Pavesi, di G. De Agostini, di M. De
Marchi, di R. Monti e dei loro allievi (E. Baldi, Livia Pirocchi Tonolli e V.
Tonolli). Il primo Istituto limnologico italiano sorse a Pallanza nel 1938, sulla
sponda occidentale del Lago Maggiore, ove è tuttora operante.
Scopo della Limnologia è dunque lo studio delle raccolte d'acqua dolce
disseminate sulla superficie terrestre, siano esse grandi laghi profondi, piccoli
laghi, stagni, pozze. Molte sono le discipline scientifiche che la Limnologia
deve compendiare in una unica visione dinamica. La Limnologia è una
scienza interdisciplinare, volta a studiare i molteplici aspetti dei fenomeni
relativi ai corpi d'acqua e, per far questo, essa deve trarre continuo e costante
aiuto da discipline quali la geografia, la geologia, l'idrologia, la meteorologia,
la fisica, la chimica, la zoologia, la botanica, la microbiologia, la matematica
e, ultima in ordine di tempo ma non per importanza, l'informatica.
2. ORIGINE E CLASSIFICAZIONE DEI BACINI LACUSTRI
Osservando il planisfero terrestre ci si rende immediatamente conto che le
acque di fiumi e laghi sono, quantitativamente, ben poca cosa rispetto alle
masse d'acqua oceaniche. Infatti, la quantità d'acqua dolce che costituisce
laghi e fiumi è solamente lo 0,02% dell'intera quantità d'acqua presente sul
globo terrestre. Appare superfluo illustrare l'importanza che questa pur esigua
parte riveste da sempre, non solamente quale fulcro di tutte le attività
economiche e sociali umane, ma anche, da un punto di vista più strettamente
biologico, quale sede elettiva di sviluppo di gran parte degli organismi viventi,
dai più semplici ai più complessi. Basti un esempio ad illustrare questo
aspetto: delle oltre ventimila specie ittiche a tutt'oggi classificate quasi la
metà vive in acque dolci di laghi e fiumi.
3
Un'osservazione più accurata della carta geografica ci porterà a scoprire
che i bacini d'acqua dolce non sono delle entità geografiche isolate ma, al
contrario, costituiscono una rete fluvio-lacustre ininterrotta che interessa la
gran parte della superficie delle terre emerse. Questa rete, contrariamente a
quanto si può in un primo momento pensare, non è immutabile; la continua
evoluzione della morfologia delle terre emerse, cui contribuiscono numerose
cause, interessa infatti anche i corsi d'acqua e con essi i bacini lacustri.
Tra i bacini lacustri di una determinata area geografica che ci può capitare
di osservare esiste un'estrema diversificazione morfologica. Tale diversità
appare ancora maggiore se, invece di considerare i bacini lacustri di una
singola regione geografica, si considera l'intera superficie delle terre emerse.
Queste differenze morfologiche sono sostanzialmente attribuibili ad una
diversa origine dei bacini lacustri. Schematicamente, l'origine dei laghi può
essere ricondotta ad una decina di cause principali che vengono qui
sinteticamente riportate con lo scopo esclusivo di citare l'origine dei bacini più
importanti in senso assoluto e di quelli che possono interessare più
direttamente il lettore in quanto compresi nel territorio italiano.
1) Laghi di origine tettonica e vulcanica. Questi laghi sono legati ad
alcune linee strutturali della crosta terrestre. La più importante fossa
tettonica della terra è quella che dal Centro Africa si estende fino all'Asia
Minore; qui si trovano alcuni dei più grandi e più profondi laghi in senso
assoluto: Lago Tanganika (superficie di circa 25.000 km2 e profondità
massima di 1435 m), Lago Niassa (sup. 23.000 km2) e Lago Rodolfo
(sup. 10.000 km2). Allo stesso tipo di fenomeni si può attribuire l'origine
del Lago Baikal (superficie 31.500 km2, profondità massima 1620 m)
nell'Asia Nord Orientale e del Lago Balaton nell'Europa Centrale. Tra i
laghi che occupano la cavità di vulcani spenti si devono citare, in territorio
italiano, il Lago di Nemi, il Lago di Bolsena, il Lago di Bracciano e il Lago
di Albano nell'Italia Centrale.
2) Laghi legati alle forme del paesaggio strutturale o laghi relitti. Sono
da considerare residui di mari o lagune di ere geologiche passate, alcuni
esempi sono il Lago d'Aral, nel l'Asia Continentale, il Mar Caspio, i laghi
della Regione Finnica.
3) Laghi di escavazione e di sbarramento da ghiacciaio. Costituiscono la
maggior parte dei bacini lacustri delle regioni montuose che sono, o sono
state, interessate dal glacialismo. Tutti i laghi della Regione Alpina e
Prealpina sono di origine glaciale, dai grandi laghi profondi delle Prealpi
(Lago Maggiore, L. di Lugano, L. di Como, L. d'Iseo e L. di Garda) ai
piccoli bacini d'alta quota (laghi di circo, laghi in rocce montonate, laghi di
doccia, ecc.), ai laghi morenici e intermorenici (ad esempio alcuni piccoli
laghi della Regione Prealpina).
4
Fig. 1. Un grande lago sud Alpino: Lago Maggiore, Bacino Borromeo.
4) Laghi in rocce solubili. Sono i laghi di dolina o carsici. Generalmente
sono di piccole dimensioni e in Italia sono presenti nel Carso e
nell'Appennino Abruzzese.
5) Laghi dovuti all'azione dei fiumi. Si formano in meandri morti o in
allargamenti del letto fluviale (esempi: Lago di Garlate e Lago di Olginate,
Laghi di Mantova, in Lombardia).
Fig. 2. Un piccolo lago della regione Prealpina: il Lago di Candia (Torino).
6) Laghi formati dall'azione del vento. Sono frequenti in zone con clima
steppico e desertico nelle quali il vento può scavare vaste conche e
accumulare grosse dune che sbarrano il percorso di fiumi. Alcuni esempi
sono costituiti dai Laghi Amari della Penisola del Sinai e dal Lago Ciad in
Africa (Sudan).
7) Laghi legati alle variazioni delle linee di spiaggia o laghi costieri. In
alcuni punti della costa marina con particolare morfologia, l'ondazione può
accumulare materiale sabbioso che occlude uno specchio d'acqua più o
meno vasto. Esempi in territorio italiano sono riferibili ai Laghi di Sabaudia
e, nella penisola del Gargano, ai laghi di Varano e Lesina.
5
8) Laghi originati da accumulo di materiale prodotto da organismi viventi
come, ad esempio, i laghi di atollo.
9) Laghi prodotti dall'impatto sulla terra di meteoriti come, ad esempio, il
Lago Bosuntwi in Africa Occidentale.
10) Laghi artificiali. Sono laghi formati dall'azione diretta dell'uomo che
attraverso sbarramenti e dighe forma bacini lacustri per costituire riserve
d'acqua da utilizzare per scopi irrigui, idroelettrici, potabili.
La suddivisione schematica qui riportata risponde alla sola esigenza di
classificazione e vuole rappresentare un primo passo nell'approccio
conoscitivo dell'ambiente lacustre. Tuttavia, questo tentativo di raggruppare i
vari bacini lacustri secondo caratteristiche di comune origine presenta scarsa
efficacia nel definire la funzione o la vocazione ecologica dei diversi corpi
d'acqua.
Un secondo tipo di classificazione che più risponde alle esigenze di
conoscenza funzionale di un lago è quella basata sul regime termico cui è
soggetta la massa d'acqua lacustre. Prima di entrare direttamente nell'esame
di questa classificazione è però opportuno accennare brevemente al
processo di riscaldamento e raffreddamento delle acque lacustri.
La temperatura che un lago assume in un determinato momento temporale
dipende dal suo bilancio termico, cioè dalla differenza fra gli apporti e le
perdite di calore. Misurando la temperatura di un lago dalla superficie al
fondo, in diversi momenti dell'anno, si ottengono profili termici molto differenti.
In particolare, è possibile osservare periodi nei quali la colonna d'acqua ha la
stessa temperatura dal fondo alla superficie e periodi nei quali vi è un elevato
gradiente termico.
Per comprendere come ciò avvenga consideriamo, a titolo di esempio, un
ipotetico lago della regione temperata e con profondità massima non
superiore a 20 metri.
Verso la fine della stagione invernale le sue acque presentano, a tutte le
profondità, una uguale temperatura di circa 4° centigradi. Con il
sopraggiungere della primavera, e quindi con l'apporto di calore attraverso la
radiazione solare, si determinerà un innalzamento della temperatura delle
acque superficiali. In questa situazione il lavoro meccanico compiuto dal
vento potrà operare un certo rimescolamento delle acque più superficiali (più
calde e quindi con densità minore) con quelle immediatamente sottostanti
(più fredde e quindi con densità più elevata). L'azione del vento contribuisce
in maniera determinante alla distribuzione del calore dagli strati più
superficiali a quelli più profondi. Tuttavia, nonostante questo contributo, è
evidente che tra acque superficiali ed acque profonde andrà formandosi, con
il progredire della stagione calda, un gradiente termico sempre più elevato;
poiché acque a differente temperatura possiedono un diverso valore di
densità, si instaurerà nel lago un gradiente di densità tale, tra acque
6
superficiali ed acque profonde, da impedire ogni possibile mescolamento ad
opera del vento.
Alla fine della stagione calda, lungo la verticale del nostro ipotetico lago, si
riconosceranno pertanto: uno strato di acque superficiali più o meno
uniformemente calde, uno strato di acque profonde fredde ed uno strato
intermedio caratterizzato da una rapidissima diminuzione della temperatura
che, in pochi metri, passa dai valori dello strato superficiale a quelli dello
strato profondo. Il lago risulta così termicamente stratificato. Con l'avvento
dell'autunno si assiste ad un progressivo raffreddamento delle acque
superficiali che, pertanto, tendono anche ad assumere una densità sempre
più vicina a quella delle acque profonde. Ciò renderà di nuovo possibile
all'azione del vento realizzare il mescolamento delle acque superficiali con
quelle profonde con un progressivo ritorno alla situazione di isotermia che si
andrà progressivamente restaurando lungo l'intera colonna d'acqua.
È opportuno sottolineare sin da ora, anche se si avrà più avanti l'occasione
di approfondire questo fenomeno, la grande importanza che riveste il ciclo
termico di un lago, soprattutto nel determinare l'effetto del parziale e del
completo rimescolamento delle acque. A titolo di esempio basti ricordare che
solamente attraverso la piena circolazione si ottiene il rifornimento di
ossigeno disciolto delle acque profonde.
Numerosi fattori contribuiscono a caratterizzare il ciclo termico di un lago;
primi fra tutti la latitudine e l'altitudine che influenzano direttamente la
sorgente di energia termica, cioè la quantità e l'intensità della radiazione
solare. Altri fattori, quali piovosità e ventosità (fattori climatici), nonché la
forma del bacino lacustre e della sua cuvetta e la profondità (fattori
morfologici), influenzano direttamente il trasferimento dell'energia termica agli
strati più profondi.
La classificazione che consegue a quanto detto è quella che viene
proposta qui di seguito:
1) Laghi di tipo polare. Sono laghi nei quali la superficie è costantemente
gelata e la massa d'acqua sottostante ha sempre una temperatura
inferiore ai 4 °C. Non si verifica mai la piena circolazione. Citiamo questi
laghi solo a beneficio della precisione di classificazione, in quanto è
evidente l'estrema particolarità di questi ambienti relegati in aree
geografiche altrettanto particolari.
2) Laghi di tipo subpolare. In questi laghi la superficie è libera dai ghiacci
solamente per un breve periodo estivo, durante il quale la temperatura
degli strati superficiali supera i 4 °C. Si avrà così la possibilità di avere un
solo periodo di isotermia e quindi di piena circolazione (laghi monomittici).
A questa categoria di ambienti appartengono la gran parte dei nostri laghi
alpini d'alta quota.
3) Laghi di tipo temperato. Le temperature superficiali di questi laghi sono,
durante la stagione invernale, di qualche grado inferiori a 4°C anche se la
7
superficie può non gelare, mentre durante l'estate è superiore a 4°C.
Verificandosi queste condizioni si hanno due periodi di isotermia e quindi
due piene circolazioni l'anno: una primaverile ed una autunnale (laghi
dimittici).
Fig. 3. Schema della struttura di distribuzione della temperatura in laghi profondi (alto) e
poco profondi (basso) appartenenti a diverse tipologie: (a), sub-polare; (b), temperato; (c)
sub-tropicale. - - - inverno; + + + primavera e autunno; • • • estate.
4) Laghi di tipo subtropicale. Questa categoria, che in realtà comprende
laghi che non si trovano esattamente nella regione subtropicale,
raggruppa laghi nei quali la temperatura è sempre superiore, anche negli
strati profondi, a 4° C. In questi ambienti si verifica annualmente un solo
periodo di isotermia (fine inverno) e quindi una sola piena circolazione
(laghi monomittici). A questo gruppo appartengono i grandi laghi subalpini.
5) Laghi di tipo tropicale. Sono i laghi delle regioni calde; in essi, infatti, le
differenze di temperatura tra strati superficiali e strati profondi sono
minime durante l'intero ciclo annuale.
Maggiori chiarimenti si avranno (soprattutto per i laghi dei gruppi 2, 3 e 4)
dalla consultazione della figura 3 nella quale si tiene conto anche del fattore
"profondità del lago".
8
3. IL LAGO È UN ECOSISTEMA
Spesso si è portati a considerare un lago come un elemento geografico che
si inserisce nel territorio con notevoli risultati dal punto di vista paesaggistico.
Inoltre, altrettanto comunemente, quando si pensa ad un lago, lo si considera
una raccolta d'acqua nella quale sono disciolti alcuni sali e dispersi un certo
numero di organismi, che può essere utilizzata per vari scopi: da quello
ricreativo, irriguo, idroelettrico a quello alimentare attraverso la pesca. Per
quanto riguarda le forme di vita in esso insediate, la considerazione generale
si limita molto spesso alla fauna ittica. Solamente in tempi recenti il proliferare
esplosivo di alcune alghe, in conseguenza di alcune forme di inquinamento,
ha rivelato, anche ai non addetti ai lavori, l'esistenza di altre forme di vita
microscopiche che, per la ragione stessa che le ha poste in evidenza,
vengono considerate nocive dall'opinione comune o, quanto meno,
indesiderabili.
L'Ecosistema, o Sistema Ecologico è, secondo la definizione che ne dà
l'Ecologia (la scienza della quale l'Ecosistema è l'unità di studio
fondamentale), l'insieme inseparabile delle comunità biologiche naturali
(Componente Biotica) e dell'ambiente fisico e chimico nel quale gli organismi
vivono (Componente Abiotica). Per Ecosistema si intende quindi
l'interconnessione tra queste due componenti tra le quali esistono
meccanismi di interazione reciproca. Un ecosistema può avere dimensioni
molto varie: uno stagno, una parte di foresta, di oceano, di deserto, una
coltura di laboratorio.
Il lago deve dunque essere considerato un Ecosistema e, tra i tanti, uno dei
più complessi, oltre che non omogeneo in tutte le sue parti. In esso, infatti, le
comunità biologiche, attraverso interazioni con le componenti chimiche e
fisiche dell'ambiente, assumono differenti configurazioni e funzioni nelle
differenti zone del lago.
A grandi linee, ed in maniera del tutto schematica, in un ambiente lacustre
si possono fondamentalmente riconoscere: una zona litorale e una zona
pelagica (Fig. 4). Quest'ultima può essere a sua volta suddivisa in uno strato
eufotico (strato d'acqua superficiale nel quale si ha la penetrazione della
radiazione luminosa) ed uno strato afotico (sottostante al precedente, non
interessato dalla luce). Infine, la zona bentonica è quella a diretto contatto col
fondo. A causa delle profonde differenze ambientali che le caratterizzano
(principalmente differenze di illuminazione), queste zone ospitano comunità
biologiche diverse tra loro ed altamente specializzate.
4. ANALISI DI UN ECOSISTEMA
Quando si parla di COMPONENETE ABIOTICA di un Ecosistema ci si
riferisce a quegli elementi inorganici, quali carbonio, azoto, fosforo, acqua,
anidride carbonica e moltissimi altri che entrano in gioco come fattori
indispensabili allo sviluppo ed al mantenimento degli organismi viventi. Una
componente abiotica molto importante è da ritenersi il regime climatico
9
(temperatura, piovosità, radiazione luminosa ed altri fattori fisici) che, al pari
dei composti inorganici prima ricordati, ha grande parte nel determinare la
funzionalità di un Ecosistema.
Fig. 4. Sezione di un lago e definizione delle principali zone nelle quali si suddivide.
La COMPONENTE BIOTICA di un Ecosistema comprende principalmente
due gruppi di organismi: gli AUTOTROFI e gli ETEROTROFI.
Gli AUTOTROFI (letteralmente: che si nutrono da sè, e non a spese di altri
organismi) sono in grado di mantenersi in vita sfruttando direttamente le
disponibilità di materiale inorganico dell'ambiente; sono, in altre parole, in
grado di elaborare sostanze organiche complesse, quali proteine, zuccheri e
grassi partendo da sostanze inorganiche semplici e facilmente reperibili
nell'ambiente circostante. In tutti gli Ecosistemi gli organismi autotrofi più
comuni sono gli "organismi verdi": piante verdi negli Ecosistemi terrestri ed
alghe verdi negli Ecosistemi acquatici. Il possesso dei pigmenti clorofilliani e
l'utilizzazione di una particolare lunghezza d'onda della luce solare quale
fonte di energia, mette in grado questi organismi di compiere quella reazione
chimica (detta Fotosintesi) che è da ritenersi fondamentale per l'esistenza
stessa della vita sulla terra, la trasformazione cioè di acqua e anidride
carbonica in glucosio. Da questo composto organico di base si passa poi,
attraverso complicate reazioni chimiche che avvengono nella cellula, alla
sintesi di tutti i composti che caratterizzano i viventi.
Il monopolio della vita è quindi detenuto da questi organismi che sono
anche chiamati "PRODUTTORI", appunto perché in grado di "produrre
materiale organico".
Tutti gli altri organismi sono detti ETEROTROFI cioè "che si nutrono a
spesa di altri". Per questi si usa anche il termine più semplice di
CONSUMATORI.
10
Gli eterotrofi, quindi, legano la loro possibilità di sopravvivenza alla
presenza degli organismi autotrofi dei quali si nutrono. I Consumatori
possono essere distinti, infine, in due categorie: MACRO-CONSUMATORI o
Consumatori propriamente detti che usano, cioè, direttamente i produttori
come fonte alimentare; MICRO-CONSUMATORI o DECOMPOSITORI
costituiti da Batteri e Funghi, che demoliscono le spoglie degli organismi morti
rimettendo in ciclo sostanze chimiche semplici riutilizzabili dagli organismi
produttori (Fig. 5).
Fig. 5. Schema funzionale degli organismi di un ecosistema.
Sulla terraferma i produttori tendono ad essere relativamente grandi se
confrontati con i consumatori: pensiamo, per esempio, alle dimensioni spesso
gigantesche degli alberi di una foresta. Al contrario, nell'ambiente acquatico i
produttori sono, per gran parte, costituiti da alghe di grandezza microscopica,
l'insieme delle quali prende il nome di FITOPLANCTON. Questa notevole
differenza strutturale è giustificata dal fatto che gli "organismi verdi", per
svolgere la loro funzione di sintesi, necessitano di luce; prerogativa che
impone ai produttori terrestri di acquisire una struttura robusta in grado di
sostenere l'apparato fogliare ad un'altezza più favorevole alla captazione
della radiazione luminosa, mentre lo stesso problema impone ai produttori
acquatici l'acquisizione di una struttura piccola e leggera per garantirsi la
permanenza nelle zone più illuminate e cioè più prossime alla superficie.
11
Gli organismi definiti consumatori sono costituiti per gran parte da quelli
che sono chiamati, in senso generale, gli animali. I consumatori si
differenziano molto dagli altri componenti di un Ecosistema non solamente da
un punto di vista funzionale, ma anche morfologico. L'attiva ricerca
dell'alimento che essi devono svolgere, e la sua cattura, esigono il
conseguente sviluppo di complesse strutture quali i sistemi sensorio,
neuromotorio, respiratorio e circolatorio, ecc.
Il gruppo dei consumatori e, al suo interno, suddiviso in due livelli principali
a seconda che gli organismi assumano l'alimento direttamente a livello dei
produttori (animali ERBIVORI) o di altri consumatori (animali CARNIVORI)
(vedi Fig. 5).
Gli organismi che abbiamo designato come decompositori (Batteri e
Funghi) sono caratterizzati da estrema piccolezza e sono quasi incapaci di
moto proprio. Essi vivono sommersi nel mezzo che deve essere demolito e
traggono il loro fabbisogno energetico dall'assorbimento dei prodotti della
decomposizione. Sono capaci di ritmi metabolici elevatissimi e la loro
specializzazione è evidente più a livello biochimico che morfologico. Ne
consegue che lo studio del ruolo da essi svolto nell'Ecosistema riveste
particolare difficoltà, dovendo basarsi non sull'osservazione diretta ma sulla
sola valutazione delle funzioni loro relative.
Concetto molto importante in Ecologia è quello di BIOMASSA. Con questo
termine si intende il peso di tutti gli individui o degli individui appartenenti a
singole specie o gruppi presenti in una certa unità spaziale di un Ecosistema.
Per esempio, si potrà parlare della biomassa dei produttori, degli erbivori, dei
crostacei intendendo, appunto, il peso complessivo degli organismi che, in un
Ecosistema, occupano una determinata posizione o svolgono un particolare
ruolo.
Il trasferimento di materiale organico sotto forma di alimento che,
prendendo l'avvio dalle piante, passa attraverso una serie di organismi che
mangiano e vengono mangiati, prende il nome di CATENA ALIMENTARE. Ad
ogni passaggio si ha una perdita energetica pari all'80-90%. Questo significa
che quanto più un organismo è lontano dall'inizio della catena tanto minore è
la quantità di alimento a sua disposizione. I diversi livelli di utilizzazione
dell'alimento prendono il nome di LIVELLI TROFICI. Tuttavia, non si può
pensare che in questa classificazione sia possibile schematizzare i diversi
aspetti di comportamento alimentare. Infatti, numerose specie animali
possono, durante il loro ciclo vitale, occupare più di un livello; questo in
risposta ad un cambiamento sia di esigenze sia di disponibilità alimentare.
Per esempio il pesce persico si nutre di zooplancton, cioè è consumatore
secondario, fino al raggiungimento della taglia di 12-14 centimetri, mentre
passa successivamente a nutrirsi di altri pesci, cioè viene ad occupare la
posizione di consumatore terziario.
12
Consideriamo il caso pratico di un Ecosistema di dimensioni contenute nel
quale riconoscere i diversi componenti dei quali si è parlato. Analizziamo, a
questo scopo, l'Ecosistema stagno (Fig. 6).
Fig. 6. Un piccolo ecosistema acquatico: lo stagno.
La sostanza inorganica più importante presente in questo Ecosistema è
ovviamente l'acqua che non soltanto funge da supporto a tutte le forme di vita
in esso esistenti, ma anche da mezzo solvente per quegli elementi chimici
indispensabili alla vita stessa. Fra questi i principali sono ossigeno e anidride
carbonica, le concentrazioni dei quali sono dipendenti dall'equilibrio con gli
stessi gas presenti nell'atmosfera, dalla temperatura della massa d'acqua e
dall'attività respiratoria e di fotosintesi operata dagli organismi viventi presenti
nelle acque.
Inoltre, sono presenti elementi e composti, quali calcio, magnesio,
bicarbonati, solfati, sodio e cloruri. Particolare importanza assumono alcuni
composti inorganici presenti solitamente in quantità molto inferiore a quella
degli elementi sopra elencati: si fa riferimento, in primo luogo, ai sali di azoto
e di fosforo, comunemente indicati come NUTRIENTI, nonché a numerosi
altri elementi quali ferro, manganese, rame, zinco, boro, silicio, molibdeno,
vanadio e cobalto (MICROELEMENTI).
Tutte queste sostanze sono trasportate con le acque di dilavamento di
origine meteorica che, scorrendo e infiltrandosi nel terreno circostante,
giungono allo stagno. È quindi evidente che le caratteristiche chimiche
(qualitative e quantitative) delle acque dello stagno sono in definitiva
determinate dalla natura del territorio che lo circonda. Questa area,
l'ampiezza della quale può essere molto variabile, viene denominata BACINO
IMBRIFERO. È altrettanto evidente che la composizione in specie e il numero
degli organismi produttori sono direttamente legati alla abbondanza ed al tipo
di nutrienti chimici sopra identificati.
13
Nello stagno riconosciamo due tipi principali di organismi produttori; le
piante macroscopiche, cioè piante con radici, fusto e foglie, lo sviluppo delle
quali è però limitato ad acque poco profonde in quanto devono essere
raggiunte dalla luce, pur rimanendo in contatto col sedimento di fondo dove
affondano le radici; le piante microscopiche, cioè le alghe in genere, che
costituiscono il FITOPLANCTON. Queste alghe microscopiche rimangono
sospese nell'acqua e sono distribuite fino alla profondità alla quale arriva la
luce. La presenza delle alghe è facilmente percepibile per il colore verde che
assume l'acqua che le contiene in sospensione. Negli stagni profondi, così
come negli ambienti acquatici molto più grandi quali laghi e mari, il
Fitoplancton è il principale produttore di materiale organico.
I consumatori primari, cioè gli erbivori, che incontriamo nell'Ecosistema
stagno sono principalmente di due tipi: lo ZOOPLANCTON (plancton
animale), costituito da piccoli crostacei liberamente natanti nell'acqua, la
funzione alimentare dei quali si esplica filtrando in continuazione acqua
attraverso un particolare apparato boccale che trattiene le particelle algali; il
BENTHOS, costituito da forme animali che vivono in costante rapporto col
fondo (ad es. larve di Insetti, Vermi, Molluschi) e che si nutrono di piante o di
resti di queste. Tra i Consumatori secondari, cioè i Carnivori che si nutrono di
Consumatori primari, troviamo alcune larve di Insetti, Insetti adulti e Pesci.
Alcune specie di pesci predatori ittiofagi possono costituire un altro anello
della catena alimentare, quello dei Consumatori terziari.
Batteri, Flagellati e Funghi sono i principali organismi del gruppo dei
decompositori. Essi sono presenti in tutta la massa d'acqua dello stagno, ma
principalmente nella fanghiglia di fondo là dove, cioè, va accumulandosi
detrito organico che questi micro-organismi convertiranno nuovamente in
"nutrienti" per i Produttori (Fig. 7).
Confrontiamo, ora, l'Ecosistema stagno con un Ecosistema terrestre, per
esempio il prato, in modo da verificare come organismi diversi, in ambienti
diversi, compiano sostanzialmente le medesime funzioni e possano essere
considerati come organismi vicarianti.
Infatti, la produzione primaria è qui sostenuta esclusivamente da piante
erbacee e piccoli arbusti che svolgono le stesse funzioni del fitoplancton. Gli
Insetti fitofaghi assolvono le funzioni dello zooplancton, mentre Uccelli e
alcuni Mammiferi si comportano come i pesci, cioè come consumatori
secondari.
Si è accennato in precedenza al fatto che le catene alimentari assicurano il
riciclo della materia all'interno degli Ecosistemi e al contempo determinano un
flusso di energia continuo dagli anelli più bassi a quelli più alti della catena
alimentare. Converrà a questo punto, prima di iniziare l'analisi degli aspetti
energetici del funzionamento di un Ecosistema, spendere qualche parola per
ricordare alcuni concetti fondamentali riguardanti l'energia.
L'energia viene definita dalla Fisica come "la capacità di produrre lavoro"
ed è regolata dalle leggi fondamentali della termodinamica. La prima legge
14
stabilisce che l'energia non può essere né creata né distrutta, ma solo
trasformata. Per esempio, l'energia che ci proviene dal sole potrà essere
trasformata in energia meccanica, in energia termica e, trasformazione che
riguarda più direttamente l'argomento che stiamo trattando, in energia
chimica. La seconda legge della termodinamica prevede che l'energia possa
soltanto trasferirsi da un livello più alto ad uno più basso e mai viceversa.
Questo non solamente significa che, per esempio, l'energia termica può
passare da un corpo più caldo ad uno meno caldo e non potrà mai avvenire
al contrario, ma anche che questo passaggio implica inevitabilmente una
degradazione dell'energia stessa e che la sua utilizzazione non avrà mai una
Fig. 7. Ciclo della materia in un ecosistema acquatico.
15
efficienza pari al 100%. In realtà, ci renderemo conto tra breve che l'efficienza
di utilizzazione dell'energia da parte degli organismi viventi è alquanto bassa.
Tutti gli organismi, per vivere, compiono lavoro e, quindi, necessitano di
una sorgente di energia potenziale che possa essere utilizzata. Questa
sorgente è costituita dall'energia chimica del cibo. Le diverse associazioni di
atomi che costituiscono la materia possono essere rimaneggiate e gli atomi,
entrando a far parte di nuove associazioni, possono liberare energia. Il sole,
attraverso la trasmutazione nucleare di idrogeno in elio, libera energia che
viene trasmessa alla terra sotto forma di onde elettromagnetiche di lunghezza
d'onda variabile tra l'infrarosso e l'ultravioletto; ed è ad essa che è legata la
vita sulla terra.
Si è accennato che il "processo chiave" per mezzo del quale si ha
produzione di materiale organico è rappresentato da una reazione chimica
che avviene nelle piante verdi: la fotosintesi clorofilliana. Attraverso questa
reazione, anidride carbonica, acqua ed energia luminosa vengono
trasformate, in presenza di clorofilla associata a complessi sistemi enzimatici,
in glucosio ed ossigeno. Il particolare che si vuole ora sottolineare è che,
attraverso questa reazione, l'energia entra nell'Ecosistema subendo la
conversione da energia luminosa in energia chimica, o, per usare un termine
più aderente al suo destino, in "energia alimentare". Qual'è l'efficienza di
questa conversione? L'utilizzazione media dell'energia solare incidente da
parte di un'area coperta di piante durante il periodo vegetativo, cioè durante il
periodo nel quale le piante sono pienamente funzionali, è dell'ordine dell'1%.
Tale percentuale sale a circa il 2% se si tiene conto del fatto che, dell'energia
luminosa visibile, viene utilizzata dal pigmento clorofilliano solo la frazione
con lunghezza d'onda compresa fra i 400 e i 700 nanometri. Tuttavia, per
quanto sia piccola la frazione di energia luminosa utilizzata, si è calcolato
che, su scala mondiale, la produzione media annua di sostanza organica è di
circa 150-200 miliardi di tonnellate in peso secco di materiale organico.
Anche i produttori, come tutti i viventi, per svolgere le loro funzioni vitali
consumano energia, cioè respirano. La respirazione, da un punto di vista
strettamente biologico, è la reazione chimica inversa della fotosintesi. Infatti,
in essa glucosio e ossigeno reagiscono per dare anidride carbonica e acqua
liberando energia; quella stessa energia che, proveniente dal sole, è stata
racchiusa nella molecola di glucosio e che ora, con la respirazione, viene in
parte dispersa sotto forma di calore. Più della metà dell'energia fissata con la
fotosintesi viene immediatamente consumata dalla pianta con la respirazione;
la parte rimanente è utilizzata per l'accrescimento e la riproduzione,
rimanendo così sotto forma di energia potenziale alimentare, a disposizione
degli organismi eterotrofi.
Riassumiamo brevemente, schematizzandoli, i concetti esposti. Il totale
dell'energia luminosa fissata da una pianta in un determinato intervallo di
tempo è chiamato PRODUZIONE PRIMARIA LORDA. L'energia che rimane,
al netto della respirazione, è la PRODUZIONE PRIMARIA NETTA. La crescita
della pianta si può misurare come produzione netta e si può esprimere sia
16
come quantità di energia immagazzinata, sia come biomassa. Se estendiamo
ora questo bilancio energetico all'intera comunità di un Ecosistema,
includendo anche i Consumatori e i Decompositori, dovremo aggiungere una
nuova unità di respirazione senza che sia possibile introdurre altre fonti di
produzione. In questo bilancio energetico totale riferito all'intero Ecosistema
avremo, quindi, che la produzione netta sarà uguale alla produzione lorda
realizzata dagli organismi autotrofi, diminuita della somma della respirazione
di tutti gli organismi sia autotrofi che eterotrofi. Le informazioni che si possono
trarre da questa equazione, applicata al bilancio energetico di un Ecosistema,
sono molto importanti al fine della valutazione del livello di maturità
dell'Ecosistema stesso. Infatti, quando la respirazione totale è inferiore alla
produzione lorda (realizzandosi quindi una effettiva produzione netta) si
parlerà di Ecosistema in evoluzione. Ciò significa che, in un Sistema
Ecologico di questo tipo, esistono ancora possibilità di sfruttamento da parte
dei consumatori i quali tenderanno a bilanciare la situazione mediante un
aumento numerico delle popolazioni animali presenti, oppure con
l'insediamento di nuove specie. Usando una terminologia più appropriata
diremo che questo è un Ecosistema nel quale si sta verificando una
"successione ecologica". Qualora dal computo energetico globale risultasse,
invece, che la respirazione uguaglia la produzione lorda, ci troveremmo di
fronte ad un Ecosistema maturo o CLIMAX. In un Sistema Climax, tutta
l'energia fissata viene utilizzata; la produzione netta scende a zero: non
rimane alcun accumulo annuo netto di materiale organico. Il Climax è
teoricamente un Sistema in equilibrio che, quindi, ha nella sua stessa
struttura il presupposto di una continuità nel tempo (Fig. 8).
Da quanto si è appena detto risulta che l'Ecosistema è una entità, la
struttura della quale è in continua evoluzione e tende al raggiungimento di un
equilibrio che, tuttavia, non può essere considerato definitivamente stabile.
Vediamone le ragioni. Lo sviluppo di un Ecosistema è determinato
sostanzialmente da una successione di comunità biotiche ciascuna delle
quali determina piccole modificazioni, sia dell'ambiente fisico sia dei flussi
energetici, tali da favorire l'insediamento di nuove comunità sempre più
specializzate nella completa utilizzazione delle risorse ambientali. Questo
significa che le comunità dei produttori tenderanno ad ottimizzare lo
sfruttamento di: luce, acqua, anidride carbonica, sali nutritivi; mentre le
comunità dei consumatori e decompositori tenderanno ad acquisire una
complessità tale da sfruttare completamente le risorse energetiche offerte
loro dai Produttori. Si può comprendere, a questo punto, come una
particolare vicenda climatica che può essere rappresentata da una siccità o
da una piovosità fuori dall'usuale, oppure da un inverno eccezionalmente
freddo e lungo, possa incidere anche drasticamente sulle comunità e quindi
sulla stabilità di un Ecosistema maturo.
Facciamo ora un breve accenno al problema del trasferimento dell'energia
da un livello trofico all'altro al fine di rispondere alla domanda: quanti
consumatori possono vivere a spese dei Produttori senza che questi abbiano
17
a soffrire gravi conseguenze? Il ricercatore Raymond Lindeman, attingendo in
parte a lavori di precedenti studiosi, giunse alla formulazione di una legge che
stabilisce i rapporti quantitativi che devono intercorrere tra i diversi utenti
dell'energia fissata dai produttori, a mano a mano che essa viene ripartita tra
le diverse popolazioni di un Ecosistema. Questa legge, pur riconoscendo che
la quantità effettiva di energia trasferita da un livello trofico ad un altro può
variare di molto, afferma che, nella catena alimentare dei consumatori, il 10-
20% dell'energia fissata dalla comunità vegetale può essere trasferita agli
erbivori, il 10-20% dell'energia che entra nella comunità degli erbivori può
essere trasferita al primo livello dei carnivori e così via. In tal modo un
Ecosistema può comprendere, come si è già avuto modo di accennare, tre o
quattro livelli di popolazioni animali, ognuna quantitativamente correlata alla
propria fonte alimentare sulla base dell'energia fissata.
Fig. 8. Schema di bilancio energetico di un ecosistema. P, produzione netta; R,
respirazione rispettivamente ai diversi livelli.
18
Quanto si è detto lascia intravedere una progressiva diminuzione della
disponibilità energetica man mano che si procede lungo una qualsivoglia
catena alimentare. Tutti gli Ecosistemi appaiono così organizzati in una
struttura piramidale alla base della quale stanno i produttori ed al vertice
l'ultimo anello dei consumatori. È chiaro che il numero dei gradini che
formano questa piramide corrisponde al numero dei livelli trofici o, se si
preferisce, al numero di anelli della catena alimentare. Questa piramide può
essere costruita sia che si consideri il numero di organismi che appartengono
ai diversi livelli trofici, sia che si considerino le loro biomasse, oppure, come
abbiamo già visto, il contenuto energetico dei vari livelli.
Questa visione piramidale dell'organizzazione trofica di un Ecosistema è
dovuta al ricercatore Charles Elton che, nel 1927, scriveva: Gli animali che
stanno alla base di una catena alimentare sono relativamente più numerosi
rispetto a quelli degli anelli successivi, c'è quindi, una progressiva
diminuzione del numero di individui tra i due estremi della catena. Per
renderci conto di quanto sia vero questo semplice enunciato che tanto peso
ha avuto nello sviluppo successivo dell'Ecologia, basti pensare al numero di
gazzelle (erbivori) e a quello di gran lunga inferiore dei leoni (predatori
carnivori) in un Ecosistema quale la Savana. La piramide dei numeri si
ritrova, nelle sue strutture fondamentali, in tutti gli Ecosistemi.
Prima di concludere questa parte generale diamo un rapido sguardo ai
fattori che regolano o limitano la produzione. È forse banale ricordare che un
organismo o una popolazione necessitano, per accrescersi, di nutrimento.
Questa osservazione, tuttavia, acquista ben diverso significato quando
affermiamo che la crescita di un organismo o di una popolazione è
determinata dal la quantità di nutrienti a disposizione, o meglio, secondo
quanto enunciato nella legge dei minimi: "la crescita è legata alla quantità del
nutriente presente in quantità minore".
La crescita di una popolazione, tuttavia, può essere limitata non soltanto
dalla scarsità di un solo nutriente tra tutti quelli che le sono indispensabili, ma
anche dalla situazione opposta. Vale a dire, la concentrazione troppo elevata
di un nutriente o l'intensità troppo alta di un determinato fattore fisico o
climatico può produrre lo stesso effetto inibente. Ad esempio, l'anidride
carbonica, è un elemento essenziale per l'accrescimento delle piante; piccoli
aumenti nella concentrazione di questo composto nell'atmosfera inducono un
incremento del tasso di accrescimento delle piante. Tuttavia, un aumento
troppo elevato risulta tossico ed inibisce la loro crescita.
Il concetto che un elemento od un fattore ambientale, sia a livelli minimi
che massimi, possa essere limitante la crescita di un organismo o di una
intera popolazione è esposto nella legge di Shelford. Secondo questa legge:
"ciascun elemento essenziale o fattore ambientale al quale un organismo è
sensibile ha un effetto limitante al di fuori di un ambito di variazione che viene
chiamato limite di tolleranza". In altre parole, esistono dei limiti superiori ed
inferiori di ciascun elemento essenziale e fattore ambientale indispensabile
per una certa popolazione entro i quali questa può svilupparsi.
19
5. RITRATTO ECOLOGICO DI UN LAGO
Vediamo ora di trovare la verifica dei concetti generali fin qui esposti,
considerando con maggior dettaglio l'ambiente lacustre. Iniziamo dalle
COMPONENTI ABIOTICHE, richiamando ancora l'importanza che, tra
queste, riveste il regime climatico dell'area geografica nella quale si inserisce
il lago. Temperatura, piovosità, ventosità, radiazione luminosa, infatti,
unitamente alle caratteristiche morfologiche e geologiche del bacino imbrifero
di un lago e del lago stesso, giocano un ruolo determinante nel favorire
l'intensità dello sviluppo degli organismi viventi. Alcuni esempi serviranno a
meglio illustrare la relazione che lega la natura del bacino imbrifero e le
caratteristiche chimiche di un lago.
Il bacino imbrifero del Lago di Mergozzo (Fig. 9), di limitate dimensioni
(8,61 km2), è prevalentemente formato da rocce granitiche e metamorfiche,
poco solubili. Le acque piovane operano un attacco chimico su questi
materiali che si può ritenere modesto. Come conseguenza si ha che le
concentrazioni di calcio, magnesio, bicarbonati e solfati nel Lago di Mergozzo
risultano essere basse. Il bacino imbrifero del Lago Maggiore (Fig. 9) ha una
estensione enormemente superiore (6.600 km2) e presenta, insieme a rocce
poco solubili (graniti, gneiss, filliti e scisti) alcune rocce calcaree più
facilmente solubili. Il risultato, in termini di chimismo delle acque del Lago
Maggiore, è una concentrazione dei composti prima elencati pari a circa 2,5
volte quella riscontrata nel Lago di Mergozzo. Nel caso del Lago di Garda,
infine, il bacino imbrifero (2.350 km2) è costituito quasi interamente da rocce
calcaree; le acque di questo lago presentano, di conseguenza,
concentrazioni circa cinque volte superiori a quelle del Mergozzo.
L'azoto è un elemento chimico comunemente presente nelle acque,
soprattutto sotto forma di azoto nitrico ed ammoniacale. Esso viene portato al
lago direttamente con la pioggia (determinazioni compiute hanno mostrato
che con la pioggia possono cadere, mediamente in un anno, 7 chilogrammi di
azoto per ettaro) o con le acque di drenaggio del bacino imbrifero che
disciolgono sali di azoto da terreni ricchi di humus e da terreni agricoli sempre
abbondantemente fertilizzati con complessi azotati. I composti inorganici
dell'azoto sono utilizzati dai vegetali (alghe e piante acquatiche) per la
costruzione delle complesse molecole proteiche che costituiscono parte
integrante della loro struttura e fonte di approvvigionamento di azoto per il
mondo animale. In generale, la forma più stabile dell'azoto (cioè l'azoto
nitrico) si trova nelle acque più superficiali, ben ossigenate, mentre l'azoto
ammoniacale è presente nelle acque più profonde e povere di ossigeno.
Il fosforo è uno degli elementi meno abbondanti nelle acque, e questo è in
contrasto con il fatto che esso occupa, nella scala di importanza per gli
organismi viventi, una delle primissime posizioni. Spesso questo elemento
rappresenta quindi un fattore limitante della crescita, tanto è vero che la sua
concentrazione relativa negli organismi e nelle loro spoglie è molto più
grande che non nel mezzo acqueo. Il fosforo entra nei cicli biologici soltanto
20
sotto forma di composto altamente ossidato, cioè sotto forma di ortofosfato e
suoi derivati. Gli ortofosfati sono soggetti nelle acque a variazioni stagionali di
concentrazione, nonché a stratificazioni verticali. In generale, si osserva che i
fosfati inorganici solubili scompaiono e sono presenti solo in tracce nelle
acque più superficiali al principio dell'autunno, per il consumo fattone dagli
organismi, vivacemente riprodottisi durante l'estate. Per contro, nello stesso
periodo, si ha un suo progressivo aumento di concentrazione nelle acque più
profonde.
Fig. 9. Bacino imbrifero del Lago Maggiore e sub-bacino del Lago di Mergozzo (7). 1
Lago Maggiore; 2 Lago di Lugano; 3 Lago d'Orta; 4 Lago di Varese; 5 Lago di Comabbio;
6 Lago di Monate; 7 Lago di Mergozzo e, in tratteggio, i confini del suo bacino imbrifero;
8 Fiume Toce; 9 Fiume Strona; 10 Fiume S. Bernardino; 11 Fiume S. Giovanni; 12 Fiume
Cannobino; 13 Fiume Maggia; 14 Fiume Verzasca; 15 Fiume Ticino Immissario; 16
Fiume Giona; 17 Fiume Tresa; 18 Fiume Bardello; 19 Fiume Acquanera; 20 Fiume Ticino
Emissario.
21
È facile comprendere a questo punto che un indiscriminato apporto di
fosforo (ed anche di azoto) al lago dal suo bacino imbrifero - fatto questo che
si verifica da alcuni decenni a causa della radicale trasformazione delle
attività umane imputabile all'inurbamento e all'industrializzazione - ha
determinato e determina gravi squilibri nella produzione biologica della gran
parte dei bacini lacustri, dando luogo al fenomeno che tecnicamente è
indicato come EUTROFIZZAZIONE.
Consideriamo ora gli organismi viventi (COMPONENTE BIOTICA)
dell'Ecosistema lago, ricordando prima di tutto brevemente quali sono le zone
funzionali nelle quali può essere suddiviso un lago. In un lago possiamo
distinguere uno STRATO EUFOTICO (Fig. 4) che comprende tutto lo
specchio d'acqua fino a quella profondità, diversa da ambiente ad ambiente,
alla quale arriva radiazione solare, in quantità e con caratteristiche tali da
permettere i processi fotosintetici. Lo strato eufotico interessa sia la zona
litorale sia quella pelagica. La ZONA LITORALE si sviluppa lungo tutta la
linea di costa, delimitata al largo dalla stessa profondità cui arriva lo strato
eufotico. Caratteristica di questa zona è l'insediamento delle piante
acquatiche sommerse che possono costituire una vera e propria fascia lungo
la costa. Al largo della zona litorale si trova quella che abbiamo indicato come
ZONA PELAGICA, che si estende su tutta la restante superficie del lago con
uno spessore uguale a quello dello strato eufotico.
In laghi sufficientemente profondi, dove la radiazione solare non giunge
sino alle massime profondità, abbiamo poi una ZONA AFOTICA dalla quale è
esclusa la vita vegetale (Fig. 4). A questa suddivisione per habitat si adatta,
più o meno strettamente, una suddivisione degli organismi acquatici basata
sulle caratteristiche fondamentali del loro comportamento o modo di vita. Si
possono così riconoscere tre gruppi fondamentali:
• il PLANCTON è il complesso di organismi animali (zooplancton) e vegetali
(fitoplancton) che vivono principalmente nella zona eufotica. Si tratta di
una comunità composta di organismi appartenenti a diversi gruppi
sistematici caratterizzati, in genere, da dimensioni microscopiche e
provvisti di strutture che facilitano il loro galleggiamento. In generale non
posseggono efficienti mezzi di locomozione e seguono passivamente i
movimenti della massa d'acqua che li ospita;
• il secondo importante gruppo è quello del BENTHOS, cioè quella
comunità assai complessa, sia da un punto di vista sistematico sia per gli
adattamenti funzionali, che vive in stretto rapporto con i sedimenti di
fondo. In relazione alle diverse caratteristiche ambientali determinate dal
diverso tipo di sedimento e dalla qualità dell'acqua ad essi
immediatamente sovrastante, questa comunità presenta grandi differenze
in rapporto alla profondità. Possiamo così distinguere un benthos litorale,
sublitorale, profondo e abissale;
22
• infine, un gruppo a sè è costituito dalla fauna ittica che può essere
indicata anche col nome di NECTON, nel quale vengono inclusi anche
tutti gli altri organismi animali che, come i pesci, sono in grado di
compiere trasferimenti autonomi.
Consideriamo ora con maggior dettaglio queste comunità, iniziando dal
popolamento planctonico. Innanzi tutto facciamo una considerazione: il
plancton, in quanto associazione di organismi animali e vegetali, può essere
considerato, entro certi limiti, come una comunità autosufficiente dalla quale
dipendono, in larga misura, le altre due comunità: benthos e fauna ittica.
Le principali caratteristiche degli organismi planctonici sono legate a quelle
che abbiamo visto essere le proprietà dell'ambiente da essi colonizzato:
l'acqua. Tra queste rivestono un carattere di peculiarità quegli adattamenti
morfologici e fisiologici, selezionati dall'evoluzione, che conferiscono a questi
organismi spiccate capacità di galleggiamento.
Animali e vegetali planctonici, infatti, sprovvisti come sono di efficienti
mezzi di locomozione, tendono generalmente a cadere lentamente verso il
fondo. Tale situazione è, in massima parte, dovuta al maggior peso
dell'organismo rispetto a quello del volume d'acqua spostato. Di qui la
necessità di perfezionare strutture che ne riducano il peso specifico e ne
favoriscano il galleggiamento. Ad esempio, in molti di essi, particolari guaine
gelatinose, che posseggono quasi la stessa densità dell'acqua, ne riducono
la gravità specifica. In altri, una maggiore attitudine al galleggiamento è
ottenuta attraverso l'accumulo di acqua, di gas o di goccioline di grasso
dentro al corpo o esternamente, in vescicole gelatinose.
Il FITOPLANCTON è costituito da organismi vegetali unicellulari o coloniali,
con dimensioni di pochi millesimi di millimetro, chiamati comunemente alghe.
Strabiliante è la varietà di forme che caratterizzano le alghe fitoplanctoniche,
tanto che possono fare esclamare di meraviglia chi si accosti per la prima
volta ad osservare al microscopio un campione d'acqua di lago. Spine,
ornamentazioni varie e l'eleganza di certe strutture fanno pensare ad un
mondo fantastico. La quasi totalità degli organismi fitoplanctonici appartiene
ai gruppi delle Diatomee, Dinoflagellati, Cloroficee e Cianoficee.
Caratteristica fondamentale delle Diatomee è rappresentata dal fatto che il
corpo cellulare è racchiuso tra due teche silicee che si inseriscono una
sull'altra come una scatola con il suo coperchio. Questa caratteristica fa sì
che le loro esigenze nutritizie comprendano, oltre ai già citati sali di azoto e di
fosforo, anche la silice in forma solubile. In alcuni ambienti, anzi, la scarsità di
silice può essere addirittura determinante nel precludere l'insediamento di
diatomee o, quanto meno, nel regolarne la densità di popolazione.
Appartengono a questo gruppo sia forme unicellulari quali Synedra e
Cyclotella, sia forme coloniali quali Asterionella, tipica per la sua forma
stellata, e Melosira (Fig. 10).
I Dinoflagellati sono alghe per lo più unicellulari con una corazza più o
meno spessa e dotata di multiformi ornamentazioni. La caratteristica
23
presenza di due flagelli consente loro limitati movimenti. Si ricorda, tra gli
appartenenti a questo gruppo, il Glenodinium sanguineum che, in certi periodi
dell'anno, quando è particolarmente abbondante, colora di rosso le acque di
alcuni laghi. Tipico esempio dell'arrossamento delle acque dovuto a
Glenodinium è quello del Lago di Tovel in Trentino, anche se, da alcuni anni,
questo fenomeno non si verifica più.
Fig. 10. Alcuni organismi algali dell'ambiente lacustre (tra parentesi gli ingrandimenti). 1
Pediastrum biradiatum (330); 2 Tetraëdron trigonum var. setigerum (500); 3 Tetraëdron
trigonum var. papilliferum (670); 4 Pediatrum simplex (230); 5 Scenedesmus protuberans
(600), 6 Synura uvella (1000); 7 Tetraëdron limneticum (670); 8 Glenodinium gimnodium
(640); 9 Oscillatoria (1000); 10 Melosira (1000); 11 Ceratium hirundinella (500); 12
Closterium malinvernianiformae (300); 13 Cyclotella comta (2000).
24
Simili alle piante superiori per i pigmenti che le caratterizzano e per le
sostanze che elaborano sono le alghe che appartengono al gruppo delle
Cloroficee, siano esse unicellulari come la Chlorella o coloniali come
l'elegantissimo Volvox. Per concludere questo elenco non resta che da
parlare delle tristemente famose Cianoficee, comunemente chiamate anche
alghe verdi-azzurre per il colore dei loro pigmenti. La cattiva fama che le
alghe appartenenti a questo gruppo hanno è dovuta al fatto che, benché non
siano da considerare organismi indicatori di inquinamento organico, quasi
sempre, in tale condizione, manifestano una crescita lussureggiante come nel
caso di Lyngbya, Oscillatoria, Microcystis, ecc. (Fig. 10).
Il popolamento fitoplanctonico di laghi diversi è spesso molto differente,
anche quando le condizioni ambientali ed il chimismo dell'acqua siano
essenzialmente simili. Vi sono, tuttavia, tipi di popolamento ben definiti, in
evidente rapporto con le caratteristiche chimiche delle acque. Infatti, il
fitoplancton di laghi ricchi in sostanze nutritizie (azoto e fosforo) è, di solito,
qualitativamente differente e quantitativamente più abbondante di quello che
vive in ambienti poveri di sostanze nutritizie. L'analisi della struttura dei
popolamenti fitoplanctonici offe quindi utili indicazioni per valutare il grado di
inquinamento di un ambiente lacustre.
L'osservazione dei popolamenti fitoplanctonici di un qualunque ambiente
lacustre nelle diverse stagioni dell'anno mette in risalto rilevanti differenze
nelle densità dei vari gruppi che lo rappresentano. Si osserva infatti che
alcuni gruppi algali sono molto abbondanti in certe stagioni, altri in altre;
questo dà luogo a una successione stagionale dei vari popolamenti.
Se nei grandi laghi profondi il fitoplancton rappresenta il gruppo di
organismi che principalmente assolve il compito di produrre, attraverso la
sintesi clorofilliana, materiale organico, non si deve dimenticare che questa
funzione è svolta anche dalle piante acquatiche; anzi, nei laghi poco profondi
come ad esempio il Lago Trasimeno l'importanza delle piante acquatiche
come produttori può essere rilevante ed in certi casi superiore a quella stessa
del fitoplancton.
Tra il plancton animale (ZOOPLANCTON) sono variamente rappresentati
tre gruppi zoologici: Protozoi, Rotiferi e Crostacei.
I PROTOZOI sono organismi unicellulari con dimensioni dell'ordine di
poche decine o centinaia di millesimi di millimetro. Questi organismi, anche
se dotati di movimenti autonomi hanno dimensioni talmente piccole che i loro
spostamenti nella massa d'acqua lacustre sono del tutto irrilevanti. I
ROTIFERI sono animali pluricellulari, con dimensioni che raramente
raggiungono il mezzo millimetro. Il loro nome è dovuto al fatto che attorno alla
bocca presentano una corona di "cilia" che, muovendosi vorticosamente, dà
l'impressione di un'elica o di una ruota in movimento vorticoso (Fig. 11). Oltre
a servire per convogliare il cibo nella bocca e come organo di locomozione, la
corona di cilia rinnova, con il suo movimento, l'acqua attorno al corpo
dell'animale, assicurando il rifornimento di ossigeno per la respirazione e
facilitando la rimozione dei prodotti di rifiuto.
25
Fig. 11. Anatomia di alcuni organismi zooplanctonici: 1 Copepode (Cyclops); 2 Rotifero
(Euchlanis); 3 Cladocero (Daphnia).
Il terzo e più importante gruppo che ritroviamo come componente costante
del popolamento zooplanctonico è quello dei CROSTACE distinguibili in due
sottogruppi: CLADOCERI e COPEPODI (Fig. 11). Questi organismi
costituiscono, nell'Ecosistema lago, i più importanti consumatori primari.
Per descrivere la struttura dei Cladoceri e le loro caratteristiche biologiche,
prenderemo come esempio la Daphnia, comunemente detta "pulce d'acqua",
quale loro più tipico rappresentante. La struttura fondamentale del corpo è
costituita da due valve entro le quali trovano posto, oltre agli arti, anche tutti
gli apparati (circolatorio, riproduttore, digerente) ad eccezione del capo e di
due paia di antenne, le più lunghe delle quali servono alla locomozione. Le
due valve sono aperte ventralmente a formare un canale entro il quale viene
convogliato, dal movimento dell'animale, un continuo flusso d'acqua ricco di
particelle alimentari. Quest'acqua viene filtrata su una serie di sete, poste a
spazzola, capaci di trattenere le alghe delle quali questi organismi si nutrono
(Fig. 11). Nei Cladoceri la riproduzione è di regola partenogenetica, cioè
avviene senza l'intervento della fecondazione da parte dei maschi, che
compaiono soltanto in determinate circostanze. Caratteristica comune dei
26
Cladoceri è quella di incubare le uova in una camera dorsale, entro la quale
esse compiono l'intero sviluppo. Alla nascita, i giovani non differiscono
nell'aspetto dagli adulti se non per le minori dimensioni. L'accrescimento,
come in tutti i Crostacei, avviene per mute successive.
Il fatto che la riproduzione avvenga nella maniera descritta, che ogni
femmina adulta possa produrre fino a 30-40 uova per volta e che l'età di
riproduzione venga raggiunta in tempi brevi (7-8 giorni), fa sì che i Cladoceri
possano aumentare molto rapidamente in densità, fatto che risulta spesso di
grande vantaggio.
I Cladoceri, come si è detto, sono generalmente fitofagi filtratori e
raggiungono dimensioni dell'ordine di pochi millimetri; tuttavia, alcuni di essi,
come Leptodora (Fig. 12), sono invece predatori e possono raggiungere
anche dimensioni di 7-8 millimetri.
I COPEPODI sono rappresentati comunemente da DIAPTOMIDI e da
CICLOPIDI (Fig. 11 e 12), i primi fitofagi durante l'intera loro vita, i secondi
fitofagi negli stadi giovanili e predatori da adulti. Le loro popolazioni, a
differenza di quelle dei Cladoceri, sono composte da maschi e femmine e la
riproduzione avviene attraverso la fecondazione delle uova da parte del
maschio. Il loro corpo, generalmente a forma di pera negli adulti, appare
suddiviso in segmenti sui quali si inseriscono arti e antenne, ed è proprio il
movimento di queste ultime che permette loro la locomozione.
Le uova sono portate dalle femmine entro sacchetti ovigeri, due nei
Ciclopidi e uno nei Diaptomidi, attaccati al corpo della madre. Dall'uovo si
sviluppa una larva che ha, grosso modo, la forma di un piccolo ragno.
Questa, abbandonato il sacchetto ovigero, conduce vita indipendente e
attraverso undici stadi di sviluppo, in 40-60 giorni, diventa adulto.
I Cladoceri, salvo rare circostanze, sono in generale tipici della stagione
calda. Alle nostre latitudini, le loro popolazioni aumentano in densità durante
la primavera e perdurano fino verso la fine dell'autunno. Lo sviluppo
primaverile viene favorito sia dall'aumento della temperatura delle acque
lacustri, sia dall'abbondanza, in questo periodo, delle Cloroficee che
costituiscono il loro alimento preferito. Per quanto riguarda i Copepodi,
possiamo dire che in essi sono ugualmente rappresentate specie che
preferiscono basse temperature ed altre che prediligono temperature più
elevate. È quindi impossibile identificare in una stagione il periodo di
massimo sviluppo di tutti i Copepodi; converrà pertanto fare alcune
distinzioni. Tra le specie che prediligono le acque fredde ricordiamo Cyclops
abyssorum, un Ciclopide abitatore comune delle acque dei nostri laghi
durante l'inverno. La necessità di basse temperature per la sopravvivenza di
queste specie è tale che con il procedere della stagione esse abbandonano
progressivamente le acque superficiali per andare a vivere negli strati più
profondi dove, a volte, trascorrono l'intera estate a stretto contatto con i
sedimenti di fondo, in uno stato di quiescenza paragonabile al letargo di molti
mammiferi. Così come Cyclops abyssorum è tipico della stagione fredda, vi
sono specie che trovano le condizioni ambientali più adatte al loro sviluppo
27
nel periodo primaverile ed altre nel periodo estivo, come Mesocyclops
leuckarti.
Fig. 12. Alcuni organismi zooplanctonici (il segmento tracciatro accanto a ciascuno
rappresenta, quando non diversamente indicato) la lunghezza di 0,5 mm). Cladoceri: 1
Diaphanosoma; 2 Bosmina; 3 Leptodora; 4 Bythotrephes; 5 Daphnia. Copepodi: 6
Cyclops; 7 Diaptomus.
Gli organismi animali che vivono a diretto contatto con i sedimenti di fondo
sono denominati organismi bentonici (Fig. 13). È intuitivo che nel determinare
la distribuzione, la densità e la presenza di determinate specie gioca un ruolo
importantissimo la natura dei sedimenti. I sedimenti limosi (a struttura fine),
tipici dei tratti di riva più riparati e con debole ondazione, nonché delle zone
più profonde, sono ricchi di detrito organico soprattutto di origine vegetale e
28
accolgono, come elementi più caratteristici, gli OLIGOCHETI (appartenenti al
gruppo dei vermi) e le larve di alcuni insetti (per lo più CHIRONOMIDI). Nei
sedimenti sabbiosi, che caratterizzano i tratti di riva con ondazione sensibile e
la zona sublitorale, trovano particolare sviluppo popolazioni di varie specie di
MOLLUSCHI: dai Lamellibranchi (come Pisidium, Unio e Anodonta) noti
anche come "mitili di acqua dolce" ai Gasteropodi come Planorbis
(riconoscibile per la forma a spirale appiattita del suo guscio). Le comunità
bentoniche dei fondali pietrosi sono caratterizzate da una notevole varietà di
organismi tra i quali particolarmente comuni sono le larve di insetti che vivono
sulla superficie dei ciottoli, spesso rivestita da alghe e muschi.
Fig. 13. Alcuni organismi bentonici. Il segmento tracciato accanto a ciascun animale
rappresenta la lunghezza di 1 cm). Insetti: 1 Larva di Chaoborus; 2 pupa del medesimo; 3
pupa di Chironomus; 4 larva del medesimo. Gasteropodi: 5 Planorbis carinatus.
Lamellibranchi: 6 Margaritora margaritifera; 7 Anodonta cygnea; 8 Pisidium lilljeborgii.
Gli INSETTI, che trascorrono i loro stadi larvali nelle acque dei laghi,
trovano i rappresentanti più significativi nei Chironomus e Chaoborus. I
Chironomus vivono prevalentemente nella zona profonda dei laghi, ed in
29
generale si nutrono del detrito organico contenuto nel sedimento di fondo (ve
ne sono alcuni che hanno abitudini predatorie); si proteggono per lo più entro
tubuli da loro stessi costruiti utilizzando sedimento cementato da secrezione
salivare. Questa struttura ha principalmente funzione di rifugio, ma permette
loro anche di sollevarsi, anche se di poco, al di sopra della zona di contatto
tra acqua e sedimenti che generalmente è la più povera di ossigeno. Dal
punto di vista fisiologico, hanno sviluppato meccanismi che permettono loro
sopravvivere normalmente anche a concentrazioni di ossigeno molto basse.
Al termine dello sviluppo larvale si portano alla superficie del lago e
sfarfallano come adulti.
Interessante è il comportamento della larva di Chaoborus. Le uova di
questo insetto sono deposte dagli adulti presso le rive; le giovani larve che si
liberano alla schiusa si mantengono per un certo tempo nelle acque
superficiali e si comportano come organismi zooplanctonici predatori.
Solamente verso la fine dello stadio larvale passano nei sedimenti. Tuttavia,
durante le ore notturne, le larve bentoniche di Chaoborus sono in grado di
compiere migrazioni verso le acque superficiali per poi tornare, all'alba, verso
i sedimenti del fondo.
Il popolamento ittico costituisce il vertice della catena alimentare lacustre
ed è costituito, nei laghi del distretto alpino cui facciamo in questo caso
particolare riferimento, da alcune decine di specie principalmente
raggruppabili nelle seguenti quattro principali famiglie (Fig. 14):
• SALMONIDI, che comprendono trote, salmerini e coregoni;
• CIPRINIDI, cui appartengono alborelle, scardole, cavedani, triotti, pighi,
tinche, carpe, ecc.;
• PERCIDI, con persico e sandra;
• CENTRARCHIDI, con persico trota e persico sole.
Le diverse esigenze ambientali che caratterizzano le singole specie ittiche
determinano, in ultima analisi, la presenza o meno di alcune di esse in laghi
diversi o in diverse aree di uno stesso grande lago. Un lago di pianura, poco
profondo, con temperature estive superiori a 20 °C e con deficit di ossigeno
sul fondo non potrà certo ospitare trote, coregoni e salmerini (noti per
preferire acque fredde e bene ossigenate), ma piuttosto Ciprinidi come
scardole, alborelle, tinche, carpe e qualche predatore piscivoro come luccio e
persico trota. In un grande lago profondo del distretto alpino esiste di fatto
una molteplicità di situazioni ambientali tale da permettere la coesistenza di
specie ittiche con esigenze anche molto diverse.
Abbiamo già accennato alle differenze che esistono tra i popolamenti
fitoplanctonici e zooplanctonici tra zona litorale e zona pelagica in un grande
lago profondo. Ebbene, anche per il popolamento ittico queste due zone
rappresentano una ragione di diversificazione nella composizione specifica.
Le acque pelagiche sono abitate da specie che, in genere, mal sopportano le
alte temperature superficiali estive (trote, coregoni e agoni); qui, infatti, hanno
la possibilità di rifugiarsi in profondità o, quanto meno, di scegliere lo strato
30
d'acqua con temperature ad essi più favorevoli. Le abitudini alimentari delle
specie che scelgono come habitat le acque pelagiche sono carnivore, il loro
alimento principale è costituito infatti da zooplancton.
Fig. 14. Alcuni componenti della fauna ittica d'acqua dolce. a trota (Salmonidi); b coregone
(Salmonidi); c persico reale (Percidi); d persico trota (Centrarchidi); e luccio (Esocidi); f
scardola (Ciprinidi); g cavedano (Ciprinidi); h alborella (Ciprinidi).
Nella zona litorale incontriamo, oltre che una maggiore abbondanza di
individui, anche una grande varietà di specie. Dobbiamo ritenere questo fatto
legato, in primo luogo, all'abbondanza di alimento ed alla sua più facile
reperibilità. La presenza in questa zona di piante acquatiche e di una grande
quantità di organismi animali e vegetali che vivono in stretto rapporto con il
detrito di fondo crea condizioni favorevoli al prosperare di numerose specie
ittiche con le più diverse abitudini alimentari. Infatti, possiamo incontrare
31
pesci con alimentazione vegetale, animale o mista, nonché i grossi predatori
piscivori quali luccio, persico, sandra e persico trota che, celandosi tra le
piante acquatiche, tendono i loro agguati a pesci di piccole dimensioni.
Dobbiamo tuttavia ricordare che molte specie compiono migrazioni tra zona
pelagica e zona litorale in concomitanza con particolari momenti stagionali.
Questo fenomeno si può osservare abbastanza comunemente durante il
periodo della riproduzione. È noto, ad esempio, il fatto che agone e coregone
lavarello si spingono, per deporre le uova, in acque litorali molto basse con
fondali sabbiosi puliti e che la trota, quando le è possibile (ed oggi non lo è
quasi mai), risale verso la sorgente dei fiumi immissari. Il fenomeno delle
migrazioni può anche non coincidere con esigenze riproduttive. L'alborella,
ad esempio, specie che vive in branchi anche numerosissimi, è tipica delle
acque pelagiche superficiali; tuttavia, durante l'estate è assai frequente
trovarla lungo le rive dei nostri laghi, mentre durante l'inverno si sposta nelle
acque pelagiche profonde.
La breve analisi che abbiamo compiuto sui singoli gruppi di organismi che
popolano l'ambiente lacustre non deve fare dimenticare che essi
costituiscono, nel loro insieme, una catena alimentare aperta, che rende
conto del trasferimento di energia dalla base al vertice della piramide
ecologica.
Possiamo riassumere il concetto di CATENA ALIMENTARE come un
legame di dipendenza che connette tra loro i vari organismi. Tuttavia, è bene
precisare che le dipendenze alimentari sono raramente descrivibili con
relazioni semplici: quasi sempre un organismo preda possiede più predatori,
ed un predatore più prede. Questo ha indotto a preferire il termine di RETE
ALIMENTARE (o rete trofica) anziché di catena (Fig. 15).
Fig. 15. Principali relazioni trofiche tra gli organismi che compongono la catena alimentare
32
pelagica.
Accanto alla rete trofica la microflora batterica realizza, in parte, un riciclo
dell'energia immagazzinata in ogni anello e non trasferita per linea diretta
all'anello successivo, contribuendo così ad aumentare l'efficienza di
trasferimento della energia. Questa microflora è attiva soprattutto a livello dei
sedimenti ma, in alcuni casi, interessa in modo rilevante anche le acque
libere (Fig. 16).
Fig. 16. Microflora batterica
L'attività batterica risulta di grande importanza per quanto riguarda il riciclo
della materia; infatti, la demolizione della sostanza organica a composti
chimici elementari che verranno di nuovo utilizzati dagli organismi vegetali
costituisce il meccanismo attraverso il quale si realizza la chiusura del ciclo.
La materia, diversamente dall'energia che viene dispersa in continuazione nel
corso del suo trasferimento a senso unico dai produttori ai diversi livelli dei
consumatori, è impegnata dunque, per azione principalmente dei batteri, in
un ciclo chiuso.
Gli organismi delle singole specie presenti in un lago non rappresentano
singole entità isolate, ma risultano raggruppati in diversi livelli organizzativi. Il
primo livello, dopo quello di individuo, è la POPOLAZIONE. Con il termine
popolazione si in tende l'insieme di individui di una stessa specie che vive in
una determinata area. Una popolazione è in grado, quasi fosse un superorganismo,
di accrescersi, di invecchiare, di rinnovarsi ed anche di morire. A
questo livello di organizzazione competono le caratteristiche proprie di una
collettività, che si identificano con parametri quali i tassi di fecondità, natalità
mortalità, il rapporto sessi e la struttura in età. La popolazione, pertanto,
33
rappresenta una vera e propria unità funzionale tra le più importanti di un
intero ecosistema.
La convivenza che si realizza tra più popolazioni di specie differenti dà
luogo ad una COMUNITA'. Questa, dunque, rappresenta un livello
organizzativo superiore, nel quale le singole popolazioni sono legate da
rapporti di interdipendenza reciproca che si manifestano attraverso la
competizione interspecifica, la predazione, il parassitismo.
Nello studio di una popolazione il primo parametro che abitualmente si
considera è la densità. L'azione che una popolazione esercita sull'ambiente e
nei confronti delle altre popolazioni che con essa convivono dipende non
solamente dal tipo di azione esercitata, ma anche dal numero di individui che
la esercita. Che cosa si intenda per densità di popolazione è abbastanza
intuitivo. Con questo termine, infatti, si usa indicare il numero di individui
appartenenti ad una popolazione che vivono in una unità di spazio. L'unità di
spazio viene generalmente scelta in rapporto al tipo di popolazione in studio.
Così, per le popolazioni che vivono in un ambiente lacustre, l'unità spaziale di
riferimento per esprimere la densità sarà il volume, espresso in litri per il
popolamento planctonico algale, in metri cubi per il popolamento
zooplanctonico; mentre, per il popolamento bentonico, si farà riferimento al
metro quadro di superficie di fondo e, nel caso dei pesci, la densità sarà
espressa come numero di individui per ettaro di superficie lacustre.
Osservando la densità degli organismi che popolano le acque di un lago si
vede che essa varia in maniera a volte molto rilevante nel corso dell'anno.
Queste fluttuazioni possono essere ricondotte ad interazioni delle popolazioni
con l'ambiente fisico e ad interazioni con gli altri organismi che compongono
la comunità biologica nella quale la popolazione è inserita. I fattori abiotici
sono riconducibili essenzialmente alle variazioni climatiche ed ambientali che
si verificano con il procedere delle stagioni. Esse si presenteranno con una
ciclicità annuale abbastanza regolare e costante, tipica della latitudine alla
quale l'ambiente si trova. Le interazioni di tipo biotico si possono ricondurre a
tre tipi fondamentali: competizione per le risorse alimentari disponibili,
predazione e parassitismo.
In senso generale, per COMPETIZIONE si intende l'interazione fra due
organismi che lottano per utilizzare la stessa risorsa necessaria alla loro
sopravvivenza. Questo è uno dei più importanti meccanismi di interazione tra
gli organismi, ed anzi risulta essere causa fondamentale nel determinare la
selezione naturale, e quindi l'evoluzione. Infatti, la sua rilevanza è tale che
due popolazioni di organismi, appartenenti a specie diverse, che hanno però
le stesse esigenze nei confronti di tutte le risorse necessarie alla loro vita,
non possono coesistere; l'una escluderà l'altra. Questo fatto è noto come
"principio di esclusione" o principio di Gause, dal nome del biologo russo che
per primo lo confermò sperimentalmente. A testimonianza della grande
importanza della competizione citeremo un esempio che ci sembra molto
significativo in proposito e che riguarda la fauna ittica del Lago Maggiore. È
noto che la fauna ittica di un lago viene gestita in forma più o meno diretta
34
dall'uomo attraverso l'introduzione di novellame delle specie già presenti nel
lago o, in casi più rari, con l'introduzione di nuove specie. Questa ultima
pratica non è esente da rischi in quanto può portare, se la specie introdotta
ha successo, anche a profonde modificazioni nella struttura della comunità
ittica e, a volte, dell'intera comunità biologica del lago.
Nel Lago Maggiore è stata introdotta nel 1950, una nuova specie di
coregone: il coregone bondella. Tralasciamo qui di entrare nel merito delle
motivazioni che hanno spinto a questa immissione e consideriamo invece le
conseguenze da essa derivate. Al tempo nel quale avvenne questa
immissione nel Lago Maggiore era presente un'altra specie di coregone, il
Coregone lavarello, introdotta attorno al 1870 che, nel frattempo, aveva
costituito una popolazione discretamente stabile ed in equilibrio con
l'ambiente. Subito, tra la bondella neointrodotta e il lavarello si sono instaurati
rapporti di stretta competizione soprattutto per quanto riguarda l'alimento.
Poiché la bondella era avvantaggiata dal punto di vista della riproduzione e
accrescimento nella competizione con il lavarello, il risultato è stato che, nel
giro di pochi anni, la densità della popolazione di lavarello si è ridotta a valori
assai bassi, soppiantata dall'affermarsi della popolazione di bondella.
Poiché la bondella è una specie strettamente planctofaga, che si nutre cioè
esclusivamente di organismi zooplanctonici quali Daphnia, Cyclops,
Leptodora ecc., e poiché l'intensità del la sua predazione è proporzionale alla
sua densità, ecco che le fluttuazioni da essa presentate si ripercuotono sulle
popolazioni degli organismi predati che vanno incontro a fluttuazioni
analoghe, ma di segno opposto. Nei periodi nei quali la densità della bondella
è elevata, quella delle prede è bassa, e viceversa.
Questo esempio permette di constatare come i fenomeni di competizione e
predazione che interessano una popolazione e ne determinano gli aspetti
dinamici non possono essere considerati separatamente l'uno dall'altro.
Spesso, nel caso di popolazioni naturali, risulta particolarmente difficile
distinguere con sufficiente chiarezza gli effetti dell'una e dell'altra. Il più delle
volte questo richiede una approfondita conoscenza della biologia e
dell'ecologia della specie in esame e l'impiego di tecniche matematiche come
la modellistica.
Per quanto riguarda più direttamente la PREDAZIONE si può affermare
che il suo effetto più immediato sia quello di aumentare la mortalità a livello
della popolazione preda. In relazione alla sua intensità, infatti, la predazione
determinerà una diminuzione del numero di individui ovvero un arresto della
crescita numerica della popolazione predata.
Inoltre, gli effetti conseguenti alla predazione possono variare in misura
notevole anche in rapporto all'età degli individui predati. Un effetto ben
diverso sarà assunto da una predazione che colpisca gli individui più giovani,
rispetto ad una rivolta verso gli individui adulti. Schematicamente possiamo
osservare che la selezione di predazione viene realizzata in due modi:
35
• operando una scelta - spesso genericamente su basi dimensionali della
specie preda tra le tante presenti. Questo tipo di selezione viene detta
"specifica";
• operando all'interno della specie preda un'ulteriore selezione basata sulle
caratteristiche dei singoli individui (giovani, adulti, debilitati, ecc.).
Per quel che riguarda il sistema del Lago Maggiore prima esemplificato, tra
gli organismi predati dal coregone bondella ve ne sono alcuni (Leptodora e
Bythotrephes) che sono a loro volta predatori che agiscono anch'essi
sull'altra specie predata dal coregone, cioè Daphnia. Quest'ultima quindi
risulta soggetta all'azione di più predatori; si ha cioè a che fare con un
sistema in cui il coregone controlla la densità delle tre specie predate che a
loro volta presentano strettissimi rapporti di interdipendenza alimentare
reciproca.
La predazione, tuttavia, nell'ambiente naturale non va vista come un
fenomeno negativo, soprattutto se il fenomeno è osservato dal punto di vista
della popolazione. In quest'ottica la predazione diventa uno dei meccanismi
regolatori ed equilibratori di maggior rilievo. In alcuni casi è stato addirittura
possibile mettere in evidenza come la scomparsa dei predatori abbia
determinato l'estinzione, in una certa area, anche della popolazione preda.
Una conclusione importante che si può trarre da quanto esposto su
competizione e predazione è che, mentre la competizione può portare spesso
alla scomparsa di una popolazione, la predazione generalmente non lo
determina. Ciò si verifica in quanto il predatore si comporta con molta
prudenza cercando di arrecare il minor danno possibile alle popolazioni
predate; infatti, la scomparsa delle prede determinerebbe anche la
scomparsa del predatore. Il risultato è che prede e predatori coesistono,
controllandosi vicendevolmente in un delicato equilibrio dinamico.
6. EVOLUZIONE DI UN LAGO
Nella scala geologica dei tempi il lago rappresenta un fenomeno di durata
piuttosto breve. Mediamente si può ritenere che un lago abbia una vita
compresa tra poche migliaia ed alcune decine di migliaia di anni. La
principale, e sostanzialmente unica, causa di morte naturale di un lago è
l'interrimento. Infatti, ciottoli e sabbie trasportate dai fiumi immissari, o
provenienti dall'azione erosiva che il moto ondoso del lago stesso determina
sulle rive, tendono a riempire la depressione che accoglie le acque lacustri. A
questa azione di riempimento contribuisce, in alcuni casi anche in maniera
rilevante, la sedimentazione continua di materiale organico che dalle zone
produttive superficiali va depositandosi, sotto forma di detrito, a livello di
fondo e che non sempre, e comunque non completamente, viene restituito
dall'attività batterica e dalla piena circolazione delle acque agli strati produttivi
superficiali. Schematicamente, il materiale che determina l'interrimento di un
lago può essere distinto in:
36
• materiale ALLOCTONO che viene convogliato a lago dal bacino imbrifero
attraverso i fiumi ed in generale con le acque di scorrimento superficiale.
Dal punto di vista qualitativo questo materiale è prevalentemente
costituito da sostanze sedimentarie inorganiche quali ciottoli, sabbie,
argille ecc.;
• materiale AUTOCTONO che viene prodotto nella zona trofogena del lago
ed è costituito, come è evidente, soltanto da materiale organico.
Poiché la quantità di materiale organico prodotto da un lago non è
costante, ma soggetta, in primo luogo, ad un ciclo stagionale, avremo che il
sedimento non sarà uniformemente ricco di materiale organico autoctono, ma
si potrà osservare una successione di piccoli strati di sedimento con diversa
componente quantitativa organica, in funzione del susseguirsi delle stagioni
con quadri produttivi diversi. L'esame visivo di una carota di sedimenti
profondi di un lago consentirà di osservare un susseguirsi di piccoli strati
(denominati VARVE) più scuri, là dove si ha una maggior presenza di
materiale organico a testimonianza di una stratificazione estiva, e più chiari,
là dove si ha la prevalente presenza di materiale inorganico alloctono, a
conferma di una stratificazione invernale (Figg 17 e 18). È intuibile che lo
studio delle varve di una carota di sedimento profondo di un lago è di
grandissima utilità non solamente ai fini della determinazione della rata di
sedimentazione che può consentire, tra l'altro, di prevedere quanto a lungo
potrà vivere il lago, ma anche di ricostruire la storia fisica e biologica del lago
e di tutto il suo bacino imbrifero.
Fig. 17. Il "carotatore" è lo strumento
utilizzato per il prelievo di sedimento di
fondo di spessore variabile da poche
decine di centimetri ad oltre un metro
37
Fig. 18. "Carota" di sedimento con varve in chiara evidenza.
Il lago dunque è un fenomeno temporaneo; un bacino che va colmandosi
gradualmente di detrito organico e inorganico. A titolo di esempio basterà
ricordare che il fondo del Lago di Quattro Cantoni si innalza di poco più di un
centimetro ogni anno, che al tempo dei Romani il Lago Maggiore giungeva
fino all'attuale Bellinzona, mentre il Lago di Como penetrava in Valtellina fino
a Morbegno e occupava il Piano di Chiavenna sino quasi all'omonima città.
Moltissime delle attuali torbiere altro non sono che le vestigia di antichi laghi
colmatisi nel corso dei secoli sino a diventare paludi che si sono andate
riempiendo di vegetazione, trasformatasi poi in torba.
Un lago, durante la sua esistenza, mostra, quale suo principale fattore di
trasformazione, una costante e progressiva diminuzione di profondità. Questo
fatto contribuisce a determinare sostanziali modificazioni delle sue capacità
produttive (TROFIA) che provocano un vero e proprio invecchiamento
biologico dell'Ecosistema Lago.
Consideriamo, a titolo di esempio un grande lago profondo della zona
temperata. In tale lago, la concentrazione dei nutrienti algali (intendiamo per
nutrienti algali principalmente i sali di azoto e fosforo) è in generale bassa per
diverse ragioni: innanzi tutto per la diluizione che realizza una grande massa
d'acqua, in secondo luogo per un rapporto sfavorevole tra volume d'acqua
superficiale produttivo e volume d'acqua totale, ed infine perché la grande
profondità rende più difficile, e quindi più rara nel tempo, la piena circolazione
delle acque con conseguente aleatoria, oltre che incompleta, restituzione agli
38
strati produttivi dei sali nutritizi. Un lago con queste caratteristiche viene
denominato OLIGOTROFO o poco produttivo.
Un lago piccolo e profondo solamente poche decine di metri avrà
caratteristiche esattamente opposte a quelle poco sopra accennati. Ne
conseguirà una produttività elevata: un lago di questo tipo è chiamato
EUTROFO o molto produttivo. Le condizioni intermedie alle due presentate
vengono classificate come situazioni di MESOTROFIA o di produttività
intermedia.
Il bacino idrografico che fa capo ad un lago comprende in generale un
certo numero di corsi d'acqua immissari che convogliano acqua e soluti
dilavati dal bacino imbrifero ed un emissario che sottrae acqua, soluti e
materiale biologico prodotto nel lago. Come è facilmente intuibile, la
concentrazione di sali nutritizi è anche funzione di questo bilancio idrologico.
Piontelli e Tonolli hanno dimostrato, utilizzando un modello matematico
sviluppato su dati sperimentali, che il tempo reale medio di permanenza
dell'acqua del Lago Maggiore è di 14 anni e mezzo; questo tenendo conto
non solamente del puro e semplice bilancio idrologico, ma anche di vari fattori
dinamici quali, stratificazione termica, circolazione delle acque e
solubilizzazione dei vari composti chimici. Da ciò risulta un dato di particolare
interesse: un composto chimico in soluzione e non adsorbibile immesso ogni
anno nel Lago Maggiore in quantità 1 verrebbe a trovarsi, dopo dieci anni, in
quantità pari a 7,3.
Il progressivo aumento della concentrazione dei soluti nelle acque di un
lago, e quindi dei sali nutritizi, nel progredire degli anni, unitamente al
fenomeno della diminuzione della profondità media causato dall'interrimento,
dànno luogo ad un progressivo aumento della capacità produttiva di un lago
che da oligotrofo passa a livelli di trofia sempre più alti fino a giungere
all'eutrofia ed anche a superarla (IPERTROFIA). Tale processo è da
considerarsi un fenomeno del tutto naturale e comune, quale storia evolutiva,
ad ogni bacino lacustre. Diversi sono evidentemente i tempi entro i quali
questa evoluzione si realizza, in dipendenza prima di tutto dalle dimensioni
del lago (superficie, profondità media e massima), dalla natura geologica e
chimica del bacino imbrifero e dal regime climatico nel quale il lago è inserito.
Ci siamo limitati sino ad ora a descrivere molto brevemente le
caratteristiche strettamente ecologiche dell'ambiente lago, volutamente
trascurando l'interferenza delle attività umane su questo ecosistema, perché
più chiaramente risultassero le caratteristiche e i delicati equilibri che
costituiscono la struttura portante di questo ambiente. Non è neppure nostra
intenzione entrare in una dettagliata e documentata disquisizione in merito a
cause ed effetti relativi all'inquinamento dell'ambiente lacustre conseguente
alle attività umane. Ci limiteremo, tuttavia, ad esporre, con la brevità che è
ormai diventata regola in questo scritto, solo un particolare aspetto
dell'inquinamento: quello dell'eutrofizzazione inteso come accelerazione,
39
spesso elevatissima, indotta dalle attività umane di un processo che, come
appena visto, è da ritenersi naturale.
L'eutrofizzazione indotta dall'uomo si può definire come un fenomeno di
arricchimento supplementare in nutrienti (ribadiamo: principalmente azoto e
fosforo, ma non solamente!) o in sostanza organica. Le fonti più importanti di
questi elementi derivanti dall'attività umana sono: gli scarichi urbani, gli
scarichi industriali (soprattutto quelli di alcuni tipi di industrie), le acque di
drenaggio dei terreni agricoli.
A titolo orientativo si può affermare che per un lago esiste un concreto
pericolo di eutrofizzazione quando dal suo bacino imbrifero gli pervengono,
annualmente, per ogni metro quadrato di superficie lacustre, oltre 5-10
grammi di composti inorganici di azoto e più di 0,2-0,5 grammi di fosforo.
Molti autori sottolineano il fatto che sia il fosforo il fattore limitante la
produzione di un lago, quindi particolare attenzione andrebbe rivolta
nell'evitare l'immissione di questo elemento. Una stima alquanto grossolana
valuta che le acque usate provenienti da centri urbani veicolino ogni giorno
circa 11 grammi di azoto e due di fosforo per abitante. Superfluo è
sottolineare il ruolo importante dei detergenti quali fornitori di fosforo. A tale
proposito basterà ricordare che il fosforo rappresenta il 7-12% del peso totale
dei detergenti oggi in commercio. Tra le sorgenti più importanti vanno
ricordate ancora le attività agricole e soprattutto zootecniche. In Italia
vengono sparsi ogni anno circa 60 kg per ettaro di fertilizzanti fosforati ed
azotati oltre il 60% dei quali viene dilavato dalle piogge; in un allevamento di
suini si ha l'eliminazione annua, per ogni 1000 kg di peso vivo, di 150 kg di
azoto e di 45 kg di fosforo.
Prendiamo ora in esame gli effetti di questo arricchimento sulle biocenosi
lacustri. Effetto più immediato dell'eutrofizzazione è l'aumento, spesso
enorme, della produzione primaria algale. Tuttavia, l'aumento di biomassa
algale non è ugualmente ripartito fra le diverse specie, ma interessa
soprattutto alcuni gruppi tra i quali spicca quello delle Cianoficee. Oscillatoria
rubescens è stata assunta come organismo algale indicatore dell'alto grado di
trofia di un lago. Questa alga filamentosa (e come essa molte altre
Cianoficee) dà luogo, in determinati periodi dell'anno ad imponenti fioriture, il
decadimento delle quali provoca il consumo totale dell'ossigeno disciolto a
livello del fondo con conseguente possibile formazione di gas altamente
tossici quali idrogeno solforato e metano.
Si può osservare a questo punto che gran parte del materiale organico
derivante dalla produzione primaria algale non entra nella catena alimentare
in quanto le Cianoficee sono scarsamente utilizzabili dallo zooplancton
erbivoro per via della loro morfologia quasi sempre filamentosa o coloniale.
Gli effetti dell'eutrofizzazione sullo zooplancton sono mediati attraverso gli
effetti sull'abbondanza delle alghe di piccole dimensioni (dimensioni delle
alghe o delle colonie inferiori a 50 _m) che costituiscono l'alimento principale
dello zooplancton fitofago. Una prima indicazione risultante dall'esame di dati
relativi a laghi che hanno subito arricchimento in nutrienti è che si siano
40
venute ad alterare le proporzioni numeriche tra le varie specie
zooplanctoniche piuttosto che una drastica variazione nella composizione
specifica. La spesso notata scomparsa della Bosmina coregoni con il
procedere dell'eutrofizzazione può dare un'impressione di instabilità che può
essere ingannevole. Si deve tener conto, al fine di una più corretta
interpretazione di questo fenomeno, della predazione messa in atto
selettivamente dalle specie ittiche zooplanctofaghe. Infatti, la scomparsa di
Bosmina coregoni e la sua sostituzione con Bosmina longirostris (di più
piccole dimensioni) è stata notata anche in ambienti soggetti a forte
predazione da parte di pesci, senza che fossero avvenuti sostanziali
cambiamenti nel grado di trofia delle acque. Una indicazione più precisa si
ha, da parte dei popolamenti zooplanctonici, con la comparsa e l'acquisizione
di una importante consistenza numerica della popolazione di Chydorus.
Il popolamento bentonico è quello che in un lago per primo risente degli
effetti negativi indotti dall'eutrofizzazione. Infatti, non appena la tensione di
ossigeno tende a diminuire a livello dell'interfaccia acqua-sedimento, le
specie ossifile scompaiono. Il procedere di questa riduzione di ossigeno ed il
sopraggiungere di condizioni anossiche portano ad una graduale riduzione
delle specie presenti fino alla scomparsa di ogni forma vivente animale a
livello del fondo.
Nonostante i pesci rappresentino il punto focale degli interessi umani
nell'ambiente lacustre, sono da considerarsi organismi piuttosto lenti nel
rispondere ai processi di eutrofizzazione e quindi degli indicatori non molto
buoni. Infatti, trovandosi al vertice della catena alimentare, essi sono gli ultimi
a risentire dei cambiamenti di trofia del corpo d'acqua che li ospita. La loro
rata di crescita e di sopravvivenza può variare ampiamente, le loro abitudini
alimentari sono, entro certi limiti, flessibili, quindi, prima di denunciare un
danno effettivo, possono sfruttare numerose situazioni alternative. In una
prima fase si ha un aumento della produzione ittica totale. È questo l'effetto
che viene sfruttato proprio con la fertilizzazione artificiale di stagni e di piccoli
bacini adibiti a produzione di particolari specie ittiche. Tuttavia, nei laghi il
progredire del processo di eutrofizzazione e la conseguente più o meno
grave deossigenazione dell'ipolimnio, nonché il variare di altri parametri
chimici e fisici, determinano la scomparsa di molte specie ed il prosperare di
altre. L'evoluzione della composizione specifica della fauna ittica in un
ambiente lacustre soggetto ad eutrofizzazione consiste in un più o meno
graduale passaggio da una prevalente composizione a salmonidi (sono i
primi a risentire degli effetti negativi dell'eutrofizzazione) ad una prevalente
composizione a ciprinidi. Negli ambienti nei quali l'eutrofizzazione non ha
ancora raggiunto livelli alti si ha il prosperare di percidi e centrarchidi.
7. CONCLUSIONE
Riteniamo che quanto si è cercato di esporre in maniera piana in questo
breve scritto possa suggerire se non altro una visione nitida della
41
complessità, forse inattesa dal lettore, delle problematiche insite
nell'affrontare la conoscenza scientifica di un ambiente lacustre. Il lago è
dunque un ecosistema tra i più complessi che tuttavia - ed anche questo ci
auguriamo risalti con sufficiente chiarezza - non è disgiunto dalla realtà
ambientale che lo circonda; non è possibile cioè considerare il lago
trascurando il suo bacino imbrifero con tutte le variabili idrologiche,
meteorologiche e climatiche relative a questo areale; ed ancora, non si
possono trascurare le attività umane che, da alcuni decenni a questa parte,
rappresentano una grave sorgente di disturbo dei delicati equilibri che
abbiamo cercato di delineare nella loro essenzialità. È molto importante
quindi che "l'Uomo tecnologico" cominci a sentirsi un po' meno "padrone
dell'Universo" ed un po' più "parte dell'Universo", attraverso il riconoscimento
che ad ogni azione da lui compiuta in qualunque direzione corrisponde una
reazione dell'ambiente, nel rispetto di Leggi ben precise che gli studi ecologici
in generale e idrobiologici in particolare hanno delineato e si sforzano
continuamente di raffinare. Questo almeno ci auguriamo di aver chiarito.


***

“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
75
Alcuni modelli matematici
nella tutela della risorsa acqua
Nicoletta Sala1 - Walter Ambrosetti2
Riassunto
Lo scopo di questo articolo è di descrivere in che modo la matematica possa
essere d’aiuto nello studio di fenomeni strettamente connessi al controllo e alla
tutela della risorsa acqua. Si farà riferimento a laghi situati nel territorio sudalpino.
In questo territorio vi è infatti la presenza di grandi laghi profondi che,
con un volume d’acqua di 125 km3, costituiscono circa l’80% dell’acqua dolce
invasata in Italia (di cui il 70% nei laghi Maggiore, Como e Garda). Ognuno di
questi bacini lacustri è un ecosistema a se stante che può considerarsi composto
da un numero di variabili derivanti dalle caratteristiche climatiche
(idrogeologiche, pedologiche, biogeochimiche del suo bacino imbrifero), dall’uso
del territorio nel quale esso è inserito, dalla sua morfometria, eccetera. La ricerca
di opportuni modelli matematici che possano simulare in modo corretto i fenomeni
fisici in atto nei laghi, può aiutare a gestire in modo corretto la risorsa acqua.
Keyword: Modelli matematici, Mescolamento, Tempo di Rinnovo.
Abstract
The aim of this paper is to describe how the mathematics can help the
study of the phenomena connected to the control and the manage of the
water resource (in particular located in the sub-alpine zone). In this
territory there is the presence of the 80% of the water in Italy(the 70% is in
the Lakes Maggiore, Como and Garda). These basins are ecosystems
composed by a large number of variables (e.g., climatic, hydro-geological,
the use of the territory where the basin is inserted, morphometric
characteristics, etc.). To research the correct mathematical models that
describe physics phenomena present in the lakes, it can help us to manage
correctly the water resource.
1 Accademia di Architettura, Mendrisio, Università della Svizzera italiana, E-mail:
nsala@arch.unisi.ch .
2 CNR-Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (I.S.E), Verbania. E-mail:
w.ambrosetti@ise.cnr.it .
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
76
1. Introduzione
Fino a non molti anni fa era impensabile pretendere di giungere a un
qualsiasi tipo di generalizzazione nello studio dei fenomeni di idrodinamica
lacustre, in quanto ogni lago è diverso dall’altro. Ora ciò è in parte ancora
valido per quanto riguarda l’aspetto chimico e biologico, la limnologia fisica
consente invece, dopo quanto visto in questo ultimo decennio, di affrontare
comparativamente alcune problematiche che riguardano specifici
meccanismi e che permettono di raggruppare le peculiarità dei singoli bacini
entro schemi ripetibili o soggetti, in ogni caso, a variazioni ben misurabili.
Le problematiche che possono essere inserite in tale schema per i laghi
profondi sono quelle che riguardano l’ossigenazione delle acque, a sua volta
dipendente dal mescolamento verticale tardo invernale e dall’inserimento di
acqua di provenienza dai tributari, l’immagazzinamento, la cessione ed il
trasporto di calore lungo la verticale del lago, soggetti a loro volta alle
particolari condizioni meteorologiche che si instaurano sull’areale lacustre.
Queste condizioni negli ultimi anni si sono ulteriormente modificate a causa
dei mutamenti del clima in atto sulla Terra e hanno notevolmente influito sia
sui fenomeni di piena, di accumulo di calore e nei tempi di ricambio del
lago. Lo scopo di questo articolo è di illustrare alcuni modelli matematici
elaborati per determinare il mescolamento dei laghi e il loro tempo di
ricambio (detto anche tempo di residenza e tempo di rinnovo).
2. Mescolamento verticale
La vita di un lago è sostenuta dalla presenza di ossigeno nelle sue acque
soprattutto per quei processi di natura chimica e biologica che si svolgono
all’interno di essi. Il meccanismo classico, comune a tutti i bacini profondi
situati alle nostre latitudini, che dovrebbe provvedere al rifornimento di O2
entro la massa lacustre, è il mescolamento verticale. Esso inizia in autunno,
quando la quantità di calore assorbita dalla massa d’acqua è inferiore a
quella ceduta e il bilancio termico diventa negativo. Ha così inizio la fase di
destratificazione, che prende avvio, per moti convettivi, dalla superficie del
lago e che può portare al completo mescolamento delle sue acque al termine
dell’inverno limnologico.
La profondità raggiunta dalla circolazione verticale assume un ruolo molto
importante per molti processi che avvengono in lago; ad esempio nel riciclo
dei nutrienti, il quale a sua volta controlla sia la produzione primaria che
quella secondaria che stanno alla base della dinamica dell’eutrofizzazione,
nel trasporto di ossigeno in profondità utile nella demolizione della
produzione organica e di altri meccanismi più prettamente fisici. Quando si
ha il raffreddamento superficiale (durante la notte) o in autunno si forma
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
77
uno strato superficiale (freddo) che diventa instabile dal punto di vista del
galleggiamento e rilascia delle plume fredde turbolente che penetrano
nell’epilimnio 3 e che giunte a livello del salto termico incontrano la
resistenza della stratificazione. Questo processo provoca un mescolamento
del solo epilimnio e un suo sprofondamento può procedere solo per
inglobamento dell’acqua alla base dell’epilimnio entro lo strato mescolato
turbolento. Ciò richiede un certo lavoro che viene compiuto da una parte
dell’energia cinetica turbolenta che si sviluppa in lago la quale può chiudersi
in moti convettivi così da approfondire lo strato mescolato. Il motore di
questo meccanismo è fornito dall’energia potenziale presente nel lago che
diminuisce in modo direttamente proporzionale alla perdita di calore in
superficie. Quando l’acqua superficiale si raffredda si instaura un circuito
con trasferimento di energia in superficie che entra nel bilancio di energia
cinetica turbolenta, che diventa a sua volta disponibile per l’erosione del
termoclinio come energia di convezione turbolenta penetrativa. E’
interessante notare che in questo processo l’effetto meccanico viene prodotto
durante il raffreddamento e non durante il riscaldamento.
Si deve però tenere presente che raramente il processo di raffreddamento si
verifica senza lo stress a livello del salto termico provocato dal vento la cui
azione si esplica in rapporto alla sua intensità.
Ora, senza addentrarci nei movimenti che produce il vento nell’erosione
dell’ipolimnio 4 superficiale, a seconda se è debole o intenso, si sottolinea
soltanto che di tutto il lavoro fatto dal vento, in parte viene dissipato
internamente e in parte usato per approfondire l’epilimnio che procede per
inglobamento dell’acqua dell’ipolimnio sino a giungere sul fondo del lago.
Quando questo processo raggiunge il fondo del lago si ha la completa
ossigenazione della massa lacustre e la formazione di “acqua nuova” che può
durare sino al successivo inverno limnologico. Il fatto è che nei laghi
profondi (che superano i 150 metri) questo processo il più delle volte non
giunge sul fondo, per questo vengono definiti olo-oligomittici. In figura 1
sono illustrate le profondità del mescolamento verticale tardo-invernale nel
Lago Maggiore (1951-2002).
3 L’epilimnio è lo strato d'acqua superficiale, di profondità variabile da lago a lago, che
durante la fase di stratificazione estiva presenta una temperatura uniforme.
4 L’ipolimnio è lo strato d'acqua più profondo e freddo di un lago con variazione termiche
contenute, sottostante il salto termico (termoclinio)
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
78
0
50
100
150
200
250
300
350
1951 1961 1971 1981 1991 2001
Prof. (m)
Fig. 1 - Profondità del mescolamento verticale tardo-invernale nel Lago Maggiore
(1951-2002)
2. Altri meccanismi di ossigenazione
Atri meccanismi sono in grado di ossigenare le acque profonde dei laghi e
sopperire al protrarsi di più anni consecutivi di circolazioni verticali solo
parziali impedendo così il degenerare delle loro acque verso stati
meromittici. Uno di questi è quello provocato dalla forza del vento, che in
particolari condizioni di intensità e direzione, determina una spinta delle
acque superficiali fino all’estremità sottovento del lago, costringendole ad
infossarsi e per continuità a scorrere sul fondo in direzione opposta fino
all’estremità sopravento dove avviene il richiamo in superficie (figura 2). Un
altro meccanismo di ossigenazione delle acque profonde è conseguente al
fatto che i grandi laghi sud-alpini, posti al margine di catene montuose molto
elevate, possono ricevere acque fluviali fredde, ricche di O2, derivanti dallo
scioglimento primaverile delle nevi e dei ghiacciai le quali nel loro transito
dal punto di immissione all’emissario, subiscono uno sprofondamento sino a
raggiungere le massime profondità. Vi sono inoltre in occasioni di grandi
piene, cospicue immissioni di acque dal bacino che possono inserirsi a
diversi livelli a seconda della loro densità che però possono provocare anche
diminuzione di ossigeno entro la colonna in quanto ricchi di sostanza
organica che deve essere demolita. Un esempio è quello della piena del
Fiume Toce del 1978, che ha interessato il Lago Maggiore, le cui acque si
sono inserite entro due livelli preferenziali, uno superficiale ed uno profondo.
0 2 4 6 8 10 km
50
100
150
200
250
300
370
3-4 Marzo 1981
Profondità (m)
NORD SUD
F. Ticino F. Maggia
Locarno
Brissago
Cannero Ghiffa
P. Castagnola
S. Caterina Belgirate
Arolo Ispra
9.4
9.4
9.2
9.0 9.0
9.2
9.2
9.4
9.6
8.8
8.6
8.4
9.6
Direzione vento
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
79
Fig.2. Distribuzione della concentrazione di ossigeno nell’intero bacino del Lago
Maggiore (rilevamenti effettuati dei giorni 3 e 4 Marzo 1981)
Il cambiamento climatico che in atto sulla Terra ancora da definire nella
sua completa dinamica, sta però determinando un aumento della temperatura
atmosferica. Le grandi masse d’acqua lacustri di conseguenza vedono
anch’esse alterati i rapporti tra le varie forme di energia di scambio sia
all’interfaccia acqua-atmosfera sia attraverso gli afflussi dai tributari con
ripercussioni su tutta la colonna d’acqua e variazioni in alcuni degli aspetti
dell’idrodinamica interna e fino a provocare alterazioni della qualità
dell’acqua. Dai dati pluriennali (1963-2003) di temperatura dell’acqua del
Lago Maggiore è stata calcolata, con cadenza mensile, la distribuzione
verticale metro per metro del contenuto di calore; il suo andamento mensile
entro la colonna, il cui trend e diretto verso un aumento generale è
rappresentato in figura 3.
Fig. 3. Andamento del contenuto mensile di calore totale entro la colonna d’acqua del
Lago Maggiore dal 1963 al febbraio 2003
E’ proprio il cambiamento climatico attualmente in atto ad assumere il ruolo
di “nuovo nemico” nella gestione del territorio (Ambrosetti, Barbanti e Sala,
2003).
Ciò era stato sottolineato anche da ricerche condotte dall’Università del
Colorado (1998), le quali hanno evidenziato che i cambiamenti climatici
sarebbero stati particolarmente evidenti alle latitudini da 45°N a 70°N, che
comprendono quindi anche la fascia Alpina. Le conseguenze sull’ambiente
dovrebbero consistere in un aumento delle temperature atmosferiche e quindi
un prevedibile anticipo ed incremento dello scioglimento primaverile delle
4000
4500
5000
5500
6000
6500
63 65 67 69 71 73 75 77 79 81 83 85 87 89 91 93 95 97 99 01
MJm-2
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
80
nevi, aumento delle valanghe, delle frane e delle erosioni, maggior frequenza
delle inondazioni, indebolimento delle aree boschive, ecc.
Più in generale ci sarà maggiore energia che, a livello climatico, favorirà
un’esasperazione dei fenomeni estremi: siccità da una parte e forti
precipitazioni, con alluvioni, dall’altra.
In queste modifiche vengono anche coinvolti due parametri molto importanti
per la “salute” delle risorsa acqua che sono il mescolamento e il tempo di
rinnovo delle acque dei laghi. I limnologi si rendono conto che i modelli
elaborati in precedenza non sono più adatti per potere descrivere delle
grandezze che sono influenzate da sistemi dinamici e da modifiche in atto
negli ecosistemi. Per questi motivi gli studi sono orientati all’elaborazione di
nuovi modelli matematici che, per potere essere corretti, devono tenere conto
delle modifiche in atto.
4. Un modello matematico per il mescolamento dei laghi
I limnologi, attraverso l’osservazione di dati meteorologici, hanno cercato
di stabilire dei modelli matematici che permettessero di determinare la
profondità raggiunta dal mescolamento invernale.
Ambrosetti e Barbanti (1979) hanno proposto un modello che prende in
considerazione il vento, la radiazione solare e la differenza tra la temperatura
dell’acqua e dell’aria, che esprime un parametro M e che è sintetizzato, per il
Lago Maggiore, nell’equazione (2).
Il modello è stato elaborato eseguendo una regressione lineare tra i dati
effettivi di profondità di mescolamento, valutati sulla base dei dati termici e
chimici e il parametro M (figura 4). L’equazione (1) sintetizza la legge che
esprime la regressione lineare tra la profondità di mescolamento effettiva e il
parametro M.
Questa legge è stata verificata con le serie storiche dei dati meteorologici dal
1951 al 1997 e i risultati ottenuti coincidono con quelli rilevati in situ,
mettendo quindi in evidenza l’affidabilità del modello matematico.
Fig. 4. Retta di regressione tra il parametro M e la profondità di mescolamento
determinata sperimentalmente
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
81
( ) ( )
å
å °— å D
=
R
V T
M
1,5 2
La profondità di mescolamento (PM) è determinata dalla seguente
equazione:
PM = 0,17 M + 63,06 (1)
Il parametro M di mescolamento è calcolato applicando la relazione:
(2)
Dove:
? V è la sommatoria giornaliera delle quantità di vento filato maggiore
di 50 km giorno
? ? T è la sommatoria delle differenze tra le temperature medie
giornaliere dell’acqua e dell’aria (°C)
? R è la sommatoria dei valori giornalieri di radiazione solare ( cal·cm-2)
I quattro parametri sono stati valutati per i soli tre mesi invernali e ad ognuno
di essi è stato attribuito un diverso coefficiente: 0,5 in Dicembre, 0,7 in
Gennaio e 1 in Febbraio.
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
82
5. Un modello matematico per il tempo di rinnovo
La valutazione del tempo medio di rinnovo dell’acqua entro una cuvetta
lacustre rappresenta un problema di grande importanza per la limnologia
teorica ed applicata: è evidente infatti che soltanto sulla base di una sua
valutazione in termini reali si sarà in grado di conoscere, per esempio, le
proporzioni e la dinamica delle sostanze chimiche disciolte nell’acqua,
nonché le velocità dei processi di concentrazione, diluizione e di permanenza
di sostanze entro il la go e, conseguentemente, le implicazioni sulla qualità
dell’acqua. Nel passato si è fatto per lo più ricorso al cosiddetto “tempo
teorico di rinnovo” delle acque lacustri, definito dal rapporto fra il volume di
un lago e la portata del suo emissario, da considerare, comunque, come il
primo approccio verso una reale valutazione di questo parametro. Un’ipotesi
di questo tipo presuppone però che il lago sia configurato alla stregua di un
tratto fluviale, a sezione ampia, e con una morfologia molto regolare, entro il
quale si sviluppi un trasporto liquido più o meno uniforme (flusso laminare)
e senza che in esso si riconosca quel complesso di fenomeni fisici, che tanta
parte hanno nel ciclo annuale dei bacini lacustri, quale, per esempio, la
stratificazione termica. Si tratta però di un approccio molto approssimato,
ma pur sempre utile per una prima indicazione sulla vivacità idrologica di un
bacino lacustre. Basti pensare all’utilizzo che ne fa Vollenweider (1975) nei
suoi modelli di classificazione trofica dei laghi.
In Tab.1 sono riportati, per i principali bacini lacustri italiani, i tempi teorici
di rinnovo delle acque: essi dipendono, in massima parte, dalle
caratteristiche morfometriche delle singole cuvette e dei rispettivi bacini
imbriferi, nonché dall’entità delle precipitazioni sull’intero areale.
Pur nella sua semplicità di formulazione, il tempo teorico mostra una
variabilità assai accentuata fra i valori riscontrati nei singoli laghi dovuta
proprio alle diversità delle caratteristiche morfologiche proprie e dei
rispettivi areali imbriferi nonché al loro inserimento in zone con differenti
situazioni idro-meteorologiche, con particolare riferimento alle
precipitazioni.
I laghi presentano, nel corso del ciclo annuale, strutture termiche verticali
differenziate che esitano, a seconda delle condizioni geografiche, climatiche
e morfologiche in cui sono collocati, in uno o più periodi di stratificazione
termica verticale durante i quali lo spessore dello strato d’acqua interessato
al ricambio idrologico, cioè quello mescolato in superficie, rappresenta
soltanto una porzione, percentualmente più o meno importante, dell’intera
massa d’acqua lacustre.
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
83
Tab.1 Caratteristiche morfometriche e idrologiche dei maggiori
laghi italiani.
Altri fattori ancora condizionano l’insieme idraulico fiume-lago-fiume e
sono il sistema di correnti e gli altri movimenti che si instaurano nel lago, la
topografia di fondo e la morfologia della cuvetta caratterizzata, assai spesso,
da una pronunciata irregolarità per la presenza di baie o di bracci laterali che
vengono interessati solo parzialmente dalla dinamica lacustre generale del
bacino. Tutte queste considerazioni hanno stimolato la ricerca verso la
formulazione di tempi di rinnovo più realistici.
I primi approcci sono stati condotti tanto con metodi sperimentali quanto da
un punto di vista puramente teorico. Fra le soluzioni sperimentali il tentativo
italiano più noto è quello proposto per il Lago Maggiore da Tonolli
(Piontelli & Tonolli, 1964) che ammette come ipotesi semplificatrice, che
“l’emunzione” da parte dell’emissario si attui indifferentemente entro tutto
lo spessore degli strati che acquisiscono, durante il ciclo stagionale, la stessa
temperatura delle acque superficiali”. Le conclusioni cui Tonolli pervenne,
dopo aver analizzato i cicli termici annuali e pluriennali delle acque del lago,
furono che il tempo di permanenza medio dell’acqua nel Lago Maggiore è
Lago Area del
lago
Zmax Zmedia Volume Area
bacino
Portata
media
immissario
Afflusso
meteo Deflusso Coefficiente
di deflusso
km2 m m 109m3 km2 m3s-1 mm mm
Garda 367.9 350 133.3 49.03 2350 59.5 1199 795 0.66
Maggiore 212.2 370 177 37.1 6599 297 1703 1422 0.83
Como 145.9 410 154 22.5 4572 158 1295 1094 0.84
Trasimeno 124.3 6 4 0.59 376 86 837 218 0.26
Bolsena 113.6 151 81 9.2 273 2.42 980 672 0.68
Iseo 60.9 258 124 7.55 1842 59.4 1220 1018 0.83
Bracciano 57 165 88.6 5.05 147 1.17 1122 647 0.58
Lugano 48.9 288 134 5.86 615 25 1676 1280 0.76
Orta 18.1 143 69.4 1.25 116 4.64 1825 1265 0.69
Varese 14.9 26 11 0.16 110 2.87 1454 808 0.56
Vico 12.1 49 21.5 0.26 41 0.49 1316 1271 0.96
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
84
di circa 14,5 anni rispetto ai 4 anni teorici. In questo caso il modello
elaborato era corretto.
5.1 I modelli matematici elaborati
Tra i modelli matematici elaborati per alcuni bacini italiani si ricordano
quello di Biffi (1963), di Piontelli (Piontelli & Tonolli, 1964) e quello di
Vollenweider (1964); tutti hanno in comune l’ipotesi che la quantità di
sostanze presente nell’acqua di un lago sia funzione dell’apporto, del
consumo e della perdita della sostanza stessa. Interessanti anche le
conclusioni di Rainey (1967) che ha applicato ai Grandi Laghi americanocanadesi
del sistema del S. Lorenzo un modello matematico basato
esclusivamente su considerazioni di carattere idrologico.
Vollenweider (1969), riprendendo in considerazione quanto già esposto da
Tonolli sulle caratteristiche termiche dell’acqua del Lago Maggiore, al fine
di introdurre anche le loro variazioni nel tempo in una formulazione
matematica più perfezionata, propone, accanto al concetto di “emunzione
teorica”, anche quello di “emunzione effettiva” che viene espressa da un
coefficiente, dimensionalmente uguale all’inverso del tempo, per il calcolo
del quale è necessaria la conoscenza del volume dell’”epilimnio medio”, vale
a dire di quel volume d’acqua che nel corso dell’anno può essere ricambiato
in virtù della sua omogeneità termica.
Il quadro generale emerso dai primi approcci è quindi già complesso, con
fenomeni di natura assai diversi e con sinergie diffuse, ognuno dei quali da
valutare sulla base delle quantità energetiche in grado di attivarli e,
successivamente, di dissiparli: un complesso di problematiche, riguardanti
quindi l’interconnessione tra lago e gli ambienti circostanti e, in particolare,
gli scambi di energia calorica, meccanica e di massa con l’atmosfera
sovrastante e con l’areale versante.
Passi successivi prevedono una linea che porti verso un modello descrittivo
attraverso un’analisi di quelli già applicati e che tenga conto di altri
parametri oltre a quelli citati, anche se una schematizzazione per i laghi non
è fattibile in quanto le differenti condizioni geologiche, morfologiche e
climatiche non permettono la costruzione di un modello che si adatti a tutti i
bacini. Ad esempio, notevoli sono le differenze esistenti tra due laghi, uno
di origine vulcanica (ad esempio il Bolsena) e uno di origine alpina (come
ad esempio il Maggiore). Queste differenze si possono identificare nel
rapporto tra le rispettive superfici del lago e del bacino imbrifero,
nell’inserimento in situazioni climatiche diverse (precipitazioni, radiazione
solare, vento ecc.), nella morfologia della conca lacustre (circolare nel
Bolsena, allungata nel Maggiore), nell’esposizione al vento per cui si
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
85
ò ò
¥
=
¥
=-
0
( )
1
0
1
0 0
m t dt
m
tdt
dt
dm
t g m
verifica un diverso sprofondamento del termoclinio durante il periodo estivo,
nell’influenza dei tributari, nei flussi attraversanti e nei sistemi di correnti e
sesse che nel lago laziale sono più pronunciate. In base a queste
considerazioni risulta infatti che nel Bolsena il ruolo più importanti è
assunto dalla termica in senso lato mentre nel Maggiore è preponderante la
situazione idrologica.
Carmack et al. (1986) hanno analizzato la stagionalità di un lago profondo e
temperato (il Lago Kootenay, British Columbia, Canada), cercando di
evidenziare i meccanismi che influenzano la circolazione e la distribuzione
della massa d’acqua e suddividendo l’osservazione in sei periodi. La
conoscenza di questi meccanismi ha aiutato a comprendere la variabilità
spazio-tempo che permette di valutare il rinnovo delle acque e aiuta inoltre a
comprendere il comportamento di quel lago e dell’ecosistema ad esso
associato. In altri studi, soprattutto nei laghi con un elevato tempo di
rinnovo, si è tenuto conto di variabili quali il vento e lo scambio termico
locale (Sundaram & Rehm, 1973; Mortimer, 1974; Holland & Simmons,
1978). Altri lavori hanno invece preso in considerazione dei modelli
numerici per laghi e bacini (Tucker & Green, 1977; Imberger et al., 1984).
5.2 I modelli recenti del tempo di rinnovo
Studi ancora più recenti riguardano la determinazione del tempo di
rinnovo attraverso delle modellazioni numeriche 3D (Rueda, 2001). Rueda
fa riferimento a esperimenti e rilevazioni condotte su Little Sodus Bay (Lago
Ontario, Stati Uniti), una delle sette baie proposte nel suo studio. Gli
esperimenti numerici consistevano nella rilevazione di un tracciatore (di
massa mo, espressa in Kg) in una data posizione e simulando l’evoluzione
nel tempo del tracciatore. Il tempo di rinnovo medio è stato calcolato con
l’equazione (3):
(3)
Le simulazioni sono state estese per cinque mesi e sono state realizzate con
un accurato sistema per fenomeni idrodinamici lacustri che tiene conto dei
moti caotici e turbolenti e, in particolare, permette di utilizzare equazioni di
Navier-Stokes e incorpora una forma di schema di Mellor-Yamada per
sistemi turbolenti (Smith, 1997; Rueda 2001; Rueda et al., 2002).
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
86
5.3 Verso un modello più realistico del tempo di rinnovo
Per giungere a definizioni più realistiche dei tempi di rinnovo delle acque
lacustri si deve tenere conto di un quadro sufficientemente preciso e
completo dell’insieme delle condizioni meteorologiche e dei processi
idrodinamici interni al lago, a loro volta condizionati dalla morfologia della
cuvetta lacustre e del territorio.
Con riferimento particolare ai laghi temperati, Ambrosetti & Barbanti (1988)
li hanno così schematizzati:
a) l’insieme delle componenti caloriche del lago alle quali si deve, con il
riscaldamento estivo, l’effetto stabilizzante degli strati superficiali
(stratificazione termica) nonché, con la destratificazione, quello
destabilizzante invernale;
b) la forza del vento che trasferisce parte del suo momento alla massa
d’acqua dando vita, sia in superficie che in profondità, ad un complesso
di movimenti con produzione di energia cinetica;
c) l’afflusso di acqua convogliata al lago dai tributari, nonché il deflusso
attraverso l’emissario, considerati non solo dal punto di vista idrologico,
ma anche per i loro effetti cinetici.
In realtà i singoli processi interagiscono tra di loro, spesso in
contrapposizione l’un l’altro: la formazione dello strato mescolato
superficiale, per esempio, altro non è che l’effetto combinato della forza di
galleggiamento conseguente al riscaldamento degli strati più superficiali
(epilimnio) con i moti d’acqua innescati dal vento che tendono a portare il
calore in profondità. Vi è un’azione contemporanea e sinergica delle varie
forze esterne che però non ci deve esimere dall’analizzare separatamente
queste stesse forze che, nel loro insieme, sono le maggiori responsabili
dell’idrodinamica lacustre.
6. Conclusioni
Tutti i risultati ottenuti dalle ricerche intraprese nel campo delle
modellazioni matematiche applicate al calcolo del mescolamento e del
tempo di rinnovo mostrano che il cambiamento climatico in atto assume il
ruolo di primaria importanza nella gestione dei corpi d’acqua, modificando
gli equilibri atmosfera-lago e fiumi-lago. In questo modo risultano alterati
anche i rapporti interni al lago stesso con effetti non solo sull’ecosistema
lago ma anche sull’intera area circostante, soprattutto con un’esasperazione
dei fenomeni estremi (ad esempio le esondazioni). I segnali sono già presenti
e ben documentati anche se la loro frequenza è ancora tale che potrebbero
rientrare in una naturale variabilità climatica: resta il fatto che se le spinte al
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
87
disequilibrio atmosferico prevarranno allora i risultati che ne deriveranno
potrebbero essere catastrofici. Per quanto riguarda più precisamente
l’argomento di questo nostro lavoro, si sottolinea che i tempi di rinnovo delle
acque nei laghi dovrebbero essere utilizzati con maggiore precisione, in
rapporto soprattutto alla loro indiscussa incidenza su molti dei processi
chimici e biologici riguardanti l’ecosistema. E’ tuttavia difficile dare
indicazioni circa le modalità generali da seguire in tale determinazione, e ciò
per l’estrema complessità del comparto fisico, con variabili assai numerose e
sinergismi non sempre facili da decifrare (Ambrosetti, Barbanti & Sala,
2003). Nel prossimo futuro, nonostante tutte le difficoltà che incontreremo,
sarà necessario approfondire le dinamiche che investono un ecosistema
complesso come è un lago alpino profondo, elaborando un modello
matematico del tempo di rinnovo che sarà prima applicato al lago Maggiore
(di cui disponiamo di tutte le serie storiche necessarie) e poi generalizzato ai
grandi laghi alpini (ad esempio, i laghi di Como e di Garda). Il nostro è solo
un piccolo passo, ma che contribuirà a salvaguardare un bene prezioso come
l’acqua.
Bibliografia
Ambrosetti, W., Barbanti, L. e Sala, N. (2003). Residence time and physical
processes in lakes. Journal of Limnology, 62 (Suppl. 1), pp. 1-15.
Ambrosetti, W. e Barbanti, L. (2000). Riscaldamento delle acque profonde
nei laghi italiani : un indicatore di cambiamenti climatici. Acqua & Aria, n.
4, pp. 65-72.
Ambrosetti, W. e Barbanti, L. (1988). Recenti indagini di limnologia
fisica sul Lago Maggiore. Acqua Aria. n° 1, pp. 27-38
Ambrosetti,W., L. Barbanti e Rolla, A. (1979). Mescolamento
parziale o totale nel Lago Maggiore nell'ultimo trentennio. Mem. Ist.
ital. Idrobiol., 37: 197-208.
Biffi, F. (1963). Determinazione del fattore tempo come caratteristica del
potere di autodepurazione del Lago d’Orta in relazione ad un inquinamento
costante. Atti Ist. Ven. Sci. Let. Arti. 121, pp. 131-136.
Carmack, E.C., Wiegand R. C., Daley R. J., Gray C. B. J., Jasper S., e
H.Pharo, C. (1986). Mechanisms influencing the circulation and distribution
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
88
of water mass in a medium residence – time lake. Limnol. Oceanogr., 31(2),
pp. 249 – 265.
Holland, E. e Simmons, T. J. (1978). Wind-induced changes of
temperature and currents in lake Costance. Arch. Meteorol. Geophys. Biol
Ser. A 27: pp. 333-373.
Imberger, J., Hebbert B. e Loh. I. (1978). Dynamics of reservoir of of
medium size, J. of Hydraul. Div. AM. Soc. Civ. Eng, 104, 725 – 743.
Mortimer, C.H. (1974). Lake hydrodynamics. Mitt. Int. Ver. Theor. Angew.
Limnol. 20, pp. 124-197.
Piontelli, R. e Tonolli, V. (1964). Il tempo di residenza delle acque lacustri
in relazione ai fenomeni di arricchimento in sostanze immesse, con
particolare riguardo al lago Maggiore. Mem. Ist. Ital. Idrobiol., 17, pp. 247-
266
Rainey, R.H. (1967). Estimation of detention period of a lake. Verh.Internat.
Verein. Limnol. 155, pp. 1242-1243
Rueda, F.J. (2001). A three-dimensional hydrodynamic and transport model
for lake environments. Ph.D. Dissertation, University of California, Davis.
Rueda, F. J., Schladow, S. G. e Palmarsson, S.O. (2002). Basin-scale internal
wave dynamics during a winter cooling period in a large lake. Journal of
Geophysical Research (in stampa).
Smith, P. E. (1997). A three-dimensional, fin ite-difference model for
estuarine circulation. Ph.D. Dissertation, University of California, Davis.
Sundaram, T. R. e Rehm, R. G. (1973). The seasonal thermal structure of
deep temperature lakes. Tellus, 25, pp. 157 – 167.
Tucker, W.A. e Green, A.W. (1977). A time dependent model of the lakeaveraged
vertical temperature distribution in lakes, Limnol. Oceanogr., 22,
pp. 687 – 699.
Vollenweider, R.A. (1969). Möglichkeiten und Grenzen elementare
Modellre der stoffbilanz von Seen. Arch. Hydrobiol. 66(1), pp. 1-36
“Quaderni di Ricerca in Didattica”, n15, 2005.
G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy)
89
Vollenweider, R.A. (1964).Die Beziehung zwischen Einzugsgebiet und
Seenhaushalt. Unpubl. Vortrag an der Deutschen Limnologentagung, Lunz
Biografia autori
Walter Ambrosetti svolge la sua attività come Primo Ricercatore presso l’Istituto
per lo Studio degli Ecosistemi (ex Istituto Italiano di Idrobiologia) del Consiglio
Nazionale delle Ricerche di Pallanza (VB), articolandola in diversi settori della
limnologia fisica. E’ stato responsabile delle ricerche di limnologia fisica nell’Unità
di Biologia impegnate nel programma nazionale di ricerche italiane in Antartide. Ha
partecipato come responsabile dell’I.S.E. al progetto INTERREG II-Italia-Svizzera
1994-1999 approvato dall’Unione Europea. E’ stato segretario dell’Associazione
Italiana di Oceanologia e Limnologia (A.I.O.L) e successivamente eletto membro
nel Consiglio di Presidenza dell’Associazione. E’ autore/coautore di circa 120
lavori scientifici la maggior parte dei quali pubblicati su riviste internazionali.
Nicoletta Sala svolge la sua attività didattica e di ricerca presso l’accademia di
Architettura di Mendrisio (Università della Svizzera iataliana) dove insegna Pensiero
matematico e Matematica e Territorio. Si occupa di modellazioni matematiche e di
applicazioni della geometria frattale nell’architettura e nel territorio. E’
autrice/coautrice di oltre 200 lavori scientifici e di 15 libri (nel campo della
matematica, informatica e architettura). E’ Co-Editor della rivista scientifica Chaos
and Complexity Letters International (Nova Science, New York) e Associated
Editor della rivista scientifica International Journal of Distance Education
Technologies (IRMA Group, Philadelphia).


0 Comments:

Post a Comment

<< Home